Piracy Shield e diritti fondamentali: il sistema antipirateria italiano sotto la lente dell’Unione Europea

Nel febbraio 2024 l’Italia ha introdotto un sistema di contrasto alla pirateria digitale senza precedenti nel panorama europeo: Piracy Shield. Ideato per bloccare la diffusione illecita di eventi sportivi e contenuti protetti da diritto d'autore, il sistema è gestito dall’AGCOM e si fonda su un meccanismo di blocco tempestivo degli accessi a contenuti sospetti, con un tempo di reazione inferiore ai 30 minuti.

Tuttavia, a poco più di un anno dall’entrata in vigore, la Commissione Europea ha sollevato dubbi formali sulla conformità del sistema italiano al Digital Services Act (DSA), con particolare riferimento alla tutela dei diritti fondamentali, tra cui la libertà d’espressione, la trasparenza e la protezione dei dati.

  • Cosa prevede il Piracy Shield?

Il sistema consente a titolari dei diritti (es. emittenti televisive) di segnalare in tempo reale le violazioni, ottenendo da AGCOM l’ordine di blocco per gli ISP, DNS resolver, CDN e provider VPN. Il tutto senza previa convalida giudiziaria. Il meccanismo si applica anche a IP dinamici e DNS stranieri, in modo da rendere inefficace la migrazione dei contenuti su nuovi domini.

L'obiettivo è chiaro: prevenire la trasmissione illecita di eventi live (soprattutto sportivi), dove l’efficacia della tutela si misura in ore, non in anni.

Il richiamo dell’Unione Europea

Il 13 giugno 2025, la Commissione Europea ha notificato allo Stato italiano una richiesta di chiarimenti formale, sottolineando potenziali criticità di compatibilità con il DSA, entrato in piena applicazione nel febbraio 2024.

I principali rilievi:

  • Mancanza di trasparenza: non è previsto un adeguato contraddittorio né una motivazione pubblica delle decisioni di blocco.

  • Overblocking: sono stati segnalati numerosi casi di siti leciti oscurati erroneamente, tra cui perfino servizi di Google.

  • Assenza di controllo giurisdizionale preventivo, in contrasto con l'art. 8 DSA, che richiede garanzie procedurali quando si limitano contenuti legali.

Inoltre, l’obbligo imposto ai provider di eseguire i blocchi senza un controllo autonomo potrebbe violare il principio di neutralità tecnologica e porre questioni delicate in materia di responsabilità degli intermediari.

Le conseguenze pratiche: tra disagi e proteste

Oltre ai rilievi normativi, il sistema ha già causato ripercussioni concrete:

  • Il provider VPN AirVPN ha interrotto l’erogazione dei servizi ai cittadini italiani, ritenendo impossibile operare nel rispetto dei propri standard di trasparenza e protezione dei dati.

  • Alcuni DNS resolver pubblici (Cloudflare, OpenDNS) hanno dovuto modificare le proprie policy per evitare responsabilità indirette.

Utenti comuni hanno denunciato l’impossibilità di accedere a contenuti del tutto leciti, segnalando un effetto paralizzante per l’ecosistema digitale.

Il bilanciamento tra tutela del copyright e diritti digitali

Il cuore del dibattito è giuridico e costituzionale: fino a che punto può spingersi la tutela del diritto d’autore, senza compromettere libertà fondamentali come l’accesso all’informazione, la libertà d’impresa e la protezione della privacy?

Il Digital Services Act impone un modello di moderazione trasparente e proporzionata, che presuppone:

  • valutazione umana e motivazione della decisione,

  • possibilità di ricorso da parte dell’utente,

  • pubblicazione di transparency reports da parte delle autorità.

Il Piracy Shield, nella sua attuale formulazione, sembra sacrificare tali garanzie a favore di una tutela efficiente ma sommaria del copyright.

Il confronto tra Italia e Commissione UE è solo all’inizio. Se il Governo italiano non fornirà risposte soddisfacenti, si aprirà la procedura formale d’infrazione, con possibili modifiche regolamentari o sanzioni.

Nel frattempo, il dibattito coinvolge anche le corti nazionali, dove sono già stati depositati ricorsi contro AGCOM per violazione dei diritti costituzionali, e il Parlamento, che potrebbe dover rivedere la normativa di base alla luce delle osservazioni europee.

ITA Airways contro Aeroitalia: il Tribunale di Roma accoglie il reclamo della compagnia di bandiera.

Gianpaolo Todisco

È di inizio giugno la notizia che il Tribunale di Roma ha accolto il reclamo presentato da ITA Airways contro l’ordinanza emessa in via cautelare lo scorso febbraio, nell’ambito di uno dei procedimenti in corso che vedono contrapposte la compagnia di bandiera italiana, erede di Alitalia, e la società Aeroitalia.

Per comprendere l’origine della controversia, è utile ripercorrere brevemente i principali passaggi della vicenda. La storia di Alitalia S.p.A. — originariamente costituita con la denominazione di Società Aerea Italiana — si è conclusa ufficialmente il 14 ottobre 2021, dopo oltre settantacinque anni di attività. Già nel 2017, tuttavia, la società era stata dichiarata insolvente dal Tribunale di Civitavecchia, che ne aveva disposto l’amministrazione straordinaria.

A seguito di alcuni anni di commissariamento, il decreto-legge “Cura Italia” del 2020 ha autorizzato la nascita di una nuova compagnia interamente controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze: ITA Airways S.p.A. Fin dall’inizio, il rapporto tra ITA e Alitalia è stato formalmente inquadrato in un’ottica di discontinuità economica, benché nella realtà tale separazione risulti per molti versi meno netta di quanto dichiarato.

Un elemento centrale della vicenda è rappresentato dall’acquisizione da parte di ITA del marchio Alitalia e del nome a dominio alitalia.com, per un corrispettivo di circa 90 milioni di euro — cifra significativamente inferiore al prezzo inizialmente stabilito in sede di asta pubblica, alla quale, tuttavia, non erano pervenute offerte. In tale contesto, ITA aveva dichiarato che l’uso dei diritti acquisiti sarebbe stato limitato al tempo strettamente necessario per aggiornare le livree degli aeromobili.

Dietro questa operazione, tuttavia, sembrerebbe esservi anche la volontà di impedire che altri operatori del settore potessero acquisire i diritti sul marchio Alitalia, utilizzandoli per ostacolare la registrazione dei nuovi segni distintivi di ITA, i quali rievocano in modo evidente i colori e la grafica storica della compagnia.

È proprio in quest’ottica che ITA ha promosso sia un giudizio di merito sia un procedimento cautelare nei confronti di Aeroitalia S.r.l., compagnia fondata nel 2021 da Marc Bourgade, oggi attiva con circa 700 dipendenti. Già al momento della sua costituzione, Aeroitalia aveva depositato presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) due domande di registrazione (n. 2021000200927 e n. 2021000200906) per un segno figurativo. L’anno successivo, è seguita la domanda di marchio n. 018715321 per il segno denominativo “AEROITALIA”, presentata presso l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO). Tutte le registrazioni coprono servizi inclusi nella classe 39, relativa al trasporto aereo.

Deepfake e identità digitale: la proposta rivoluzionaria della Danimarca sul diritto d'autore.

Gianpaolo Todisco

Diritto dell’intelligenza artificiale, deepfake e protezione dell’identità digitale: sono queste le nuove sfide che il diritto si trova ad affrontare nel mondo della tecnologia avanzata. La Danimarca si prepara a introdurre una normativa innovativa che potrebbe rivoluzionare il modo in cui viene tutelata la persona nel contesto digitale.

I deepfake sono contenuti audio o video creati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale generativa, che riproducono fedelmente l’aspetto e la voce di una persona, facendole dire o fare cose mai avvenute. Questa tecnologia viene usata per fini leciti (intrattenimento, parodia), ma anche per scopi illeciti: diffamazione, furti d’identità, revenge porn, frodi digitali.

L’attuale normativa, basata su diritto alla privacy, diffamazione e tutela dell’immagine, è spesso inadeguata ad affrontare questi scenari, in quanto non contempla la possibilità di un uso simulato dell’identità tramite AI.

Il Parlamento danese sta esaminando un disegno di legge che mira a riconoscere alla persona un diritto d’autore sulla propria immagine, voce e tratti somatici, trattando queste componenti come vere e proprie opere dell’ingegno.

Le principali novità della proposta:

  • Rimozione obbligatoria dei contenuti deepfake pubblicati senza consenso;

  • Diritto al risarcimento del danno per l’utilizzo abusivo dell’identità digitale;

  • Tutela della libertà di espressione, con esclusione di parodia e satira dal campo di applicazione.

Si tratta di una soluzione che intende bilanciare innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali, creando un modello che potrebbe presto estendersi ad altri Paesi europei.

La Danimarca ha annunciato che promuoverà questa riforma a livello europeo durante la sua presidenza del Consiglio dell’Unione Europea nel 2025, nell’ambito delle più ampie strategie europee in materia di AI Act, protezione dei dati personali e regolamentazione dell’intelligenza artificiale.

Questo nuovo approccio alla tutela della persona nel mondo digitale potrebbe costituire un importante precedente anche per:

  • la revisione della normativa sul diritto d’autore digitale;

  • l’evoluzione del diritto all’identità personale online;

  • l’integrazione con la disciplina sulla protezione dei dati biometrici.

Getty vs Stability AI: un processo storico sui diritti d’autore e l’intelligenza artificiale.

Gianpaolo Todisco

Il 9 giugno 2025 ha preso il via davanti alla High Court di Londra la causa di grande rilevanza giudiziaria tra Getty Images e Stability AI. Si tratta di una delle prime battaglie legali a livello mondiale sul tema dell’uso di materiale protetto da copyright per "addestrare" modelli di intelligenza artificiale generativa (come Stable Diffusion).

Le accuse di Getty

Getty sostiene che Stability AI avrebbe scaricato milioni di immagini dal suo archivio senza licenza, impiegandole per allenare Stable Diffusion. Le principali accuse comprendono:

  • Violazione del copyright, per uso non autorizzato di opere tutelate.

  • Violazione del marchio, poiché l’IA avrebbe generato immagini con il watermark di Getty.

  • Violazione di diritti su database, in quanto Getty rivendica diritti anche sul suo vasto archivio fotografico

La difesa di Stability AI

Stability AI, con sede a Londra, respinge le accuse. Argumenta che l’addestramento è avvenuto su server negli Stati Uniti, e quindi non soggetto alla giurisdizione britannica . Sostiene inoltre che il sistema favorisce innovazione creativa e libertà di espressione e che pochissime immagini generate somigliano davvero alle originali protette .

Impatto legale e culturale

Il processo durerà diverse settimane, con una decisione finale attesa più avanti nel 2025. Gli avvocati concordano sul fatto che questa sentenza potrebbe:

  • Definire i confini legali dell’uso di contenuti protetti nell’AI.

  • Influenzare le negoziazioni per licenze commerciali del materiale ai creativi .

  • Determinare l’attrattività del Regno Unito come hub per lo sviluppo dell’AI, in base al rigore delle tutele di copyright .

Evoluzione del contenzioso

Sul piano internazionale, Getty ha già intentato causa analoga negli Stati Uniti nel febbraio 2023, chiedendo danni fino a 1,7 miliardi di dollari per oltre 11.000 immagini. Recentemente, però, Getty ha rinunciato a una parte delle accuse di violazione diretta del copyright nel Regno Unito, concentrandosi su quelle secondarie e sui diritti di marchio .

Il contesto legale si arricchisce: parallelamente, in California, un giudice ha stabilito che l’addestramento dei modelli Anthropic su libri potenzialmente pirata non costituisce violazione di copyright . Tutto questo complica le prospettive dei creativi che cercano tutele legali per proteggere il loro lavoro.

Il Blanding tra minimalismo e rischi legali

Gianpaolo Todisco

Negli ultimi anni, l’industria della moda ha assistito a una diffusa tendenza al rebranding. Molti marchi hanno abbandonato i loro loghi originali, ricchi di personalità, a favore di wordmark puliti, minimalisti e in caratteri sans-serif. Questo cambiamento – spesso definito blanding – è guidato dal principio di design “less is more” (meno è meglio). Tuttavia, se da un lato questa estetica risponde ai gusti contemporanei, dall’altro solleva importanti interrogativi sulla autenticità del brand e sulla sua tutela legale.

Il Costo legale della semplicità

A prima vista, il blanding può sembrare una semplice fase stilistica. Ma ha implicazioni legali più profonde – in particolare nel campo del diritto dei marchi, dove la distintività è la base della protezione. Man mano che i loghi diventano più uniformi e meno espressivi, la loro capacità di distinguere un marchio da un altro si riduce. Questa erosione della distintività può compromettere la tutela giuridica del marchio.

I principali rischi legali includono:

  1. Perdita della protezione del marchio: se un nuovo logo non mantiene un’impressione commerciale coerente, il marchio potrebbe non essere più tutelabile.

  2. Continuità d’uso: per conservare i diritti legali, un marchio deve dimostrare un uso costante e continuativo. Un rebranding drastico può interrompere questa continuità.

Perché i brand adottano il Blanding

Nonostante i rischi, il blanding presenta diversi vantaggi:

  1. Protezione legale più ampia: i wordmark semplici si basano sulla forza del nome stesso, offrendo potenzialmente una copertura legale più estesa.

  2. Ottimizzazione digitale: i loghi minimalisti sono versatili su tutti i dispositivi, risultando molto funzionali per l’e-commerce e i social media.

  3. Visibilità semplificata: i design essenziali sono più facili da riconoscere attraverso vari canali, migliorando il richiamo del marchio in un ambiente digitale affollato.

Gli Svantaggi dell’omogeneità

Tuttavia, questi vantaggi hanno un prezzo:

  1. Valutazione legale complessa: tribunali e uffici marchi possono avere difficoltà a stabilire se i vecchi e nuovi loghi trasmettano la stessa impressione commerciale.

  2. Perdita di identità: i loghi semplificati possono indebolire la capacità del marchio di distinguersi, compromettendo riconoscibilità e impatto emotivo.

  3. Distacco culturale: il rebranding può abbandonare elementi visivi legati alla tradizione e all’artigianalità.

  4. Estetica generica: con sempre più marchi che adottano stili simili, le identità visive si confondono, diluendo l’unicità.

  5. Sacrificare il carattere per apparire moderni: la ricerca di un look contemporaneo spesso porta a un branding generico e poco memorizzabile.

Questa tensione rivela il paradosso del blanding: pur nascendo per rafforzare il branding attraverso la semplicità, spesso conduce a un’uniformità visiva che mina ciò che il marchio rappresenta davvero.

La Rinascita del Re-Rebranding

Oggi, il pendolo sta tornando indietro. Sta emergendo una nuova contro-rivoluzione del branding, che privilegia la specificità, la personalità e l’eredità storica. I marchi stanno riscoprendo il valore della tipografia ricercata, delle palette cromatiche sfumate e dei richiami storici.

Un esempio significativo è il rebranding di Burberry nel 2023 sotto la direzione creativa di Daniel Lee, che ha reintrodotto un logo con caratteri serif ispirati al patrimonio del brand. Questa nuova ondata abbandona l’ossessione per la scalabilità digitale, puntando invece su profondità visiva e distintività.

Le Implicazioni legali

Con questo nuovo approccio, il ruolo del consulente legale diventa ancora più cruciale. Il branding non è più solo una questione di marketing, ma una scelta strategica che implica gestione del rischio, valorizzazione degli asset e posizionamento culturale. L’identità visiva deve essere trattata come un patrimonio giuridico, non soltanto estetico.

Conclusione: alla ricerca dell’equilibrio

Sebbene la tendenza minimalista nel branding sia nata per rispondere alle esigenze delle piattaforme digitali, ha generato vulnerabilità legali inaspettate. La distintività resta il fondamento di un marchio forte. Loghi eccessivamente semplificati possono compromettere sia il riconoscimento da parte dei consumatori che la protezione legale.

I brand devono quindi trovare un equilibrio attento – abbracciare la modernità senza rinunciare alla propria unicità. Nella maggior parte dei casi, aggiornamenti graduali e strategici sono più efficaci di trasformazioni radicali. Questo approccio consente di preservare il valore del marchio riducendo al minimo i rischi legali associati a un rebranding drastico.

Conflitto tra Marchi, Ruolo del Licenziatario e Criteri di Confondibilità: il Caso US Polo Association

Nel panorama del diritto industriale, il conflitto tra marchi rappresenta una delle questioni più delicate e strategiche per imprese e licenziatari. Un recente provvedimento del Tribunale di Venezia (ordinanza del 27 gennaio 2025) nel procedimento cautelare tra USPA Global Licensing Inc. e Giangi Srl fornisce spunti preziosi sulla legittimazione ad agire del licenziatario e sui criteri per valutare la confondibilità tra segni distintivi.

Il Ruolo del Licenziatario nei Contenziosi

Il Tribunale ha riaffermato un principio fondamentale: una volta avviata la controversia da parte del titolare del marchio, il licenziatario non può agire autonomamente, ma ha solo il diritto di intervenire nel procedimento promosso dal titolare. Questo limite mira a evitare la frammentazione dei giudizi e la moltiplicazione dei contenziosi paralleli.

Nel caso di specie, USPAGL e IN.CO.M. Spa avevano avviato un procedimento cautelare parallelo a quello già intrapreso dal titolare (USPA) davanti al Tribunale di Genova. Il Giudice ha dunque rilevato il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti per i marchi già oggetto della causa principale. È stato però riconosciuto il diritto del licenziatario ad agire nei confronti di soggetti non coinvolti nella causa pendente (come Pittarello spa) e per marchi non ancora azionati dal titolare.

Confondibilità tra Marchi: La Valutazione del Tribunale

La pronuncia veneziana ha anche offerto un'accurata disamina sulla confondibilità tra i marchi USPA e quelli registrati da Giangi Srl, che pure raffigurano soggetti a cavallo in atteggiamento sportivo.

I Principi Giurisprudenziali Richiamati

Il Giudice ha ribadito che:

La valutazione va compiuta in maniera globale e sintetica, considerando gli elementi visivi, fonetici, concettuali e semantici.

Nei marchi complessi, elementi figurativi e denominativi vanno valutati con pari attenzione.

Il grado di distintività incide sulla tutela: maggiore è la capacità distintiva, più ampio è il perimetro di protezione.

Il Tribunale ha considerato che, pur in presenza di un marchio noto come quello di USPA, l’elemento figurativo del giocatore di polo non gode di esclusiva assoluta. In particolare:

Le immagini nei marchi di Giangi non mostravano giocatori con la mazza da polo, ma con bandiere, una delle quali britannica.

L’impressione visiva e concettuale complessiva era sufficientemente diversa da escludere un rischio di confusione o di associazione diretta.

Pertanto, non sussisteva il fumus di contraffazione né la concorrenza sleale, e il ricorso è stato rigettato con condanna alle spese.

Il Concetto di Distintività: Un Confine Sottile

Il Tribunale ha affrontato anche il tema della distintività del marchio, riaffermando la teoria della “curva della capricciosità”, secondo cui un marchio forte si colloca all’estremo di un collegamento logico assente tra segno e prodotto. Tuttavia, nel caso in esame, l’uso del riferimento al polo non è stato considerato sufficientemente arbitrario, data la sua diffusione nel settore moda e accessori, anche per marchi come Ralph Lauren o La Martina.

Conclusioni

Il caso USPA rappresenta un precedente significativo per imprese e licenziatari: stabilisce limiti chiari alla legittimazione del licenziatario e impone un approccio rigoroso alla valutazione della confondibilità. Non basta una somiglianza generica né l’uso di simboli comuni come quello del polo player per fondare un’accusa di contraffazione. È necessaria una somiglianza sostanziale, capace di generare una confusione concreta nella mente del consumatore medio.

Per i professionisti del settore, la sentenza è un monito a valutare con attenzione la distintività effettiva del marchio e a gestire in modo coordinato e strategico i contenziosi in materia di proprietà industriale.

Tax Credit Cinema e Audiovisivo: cosa cambia con la Legge di Bilancio 2025


Fulvia Tesio

Legge di Bilancio 2025: Con l’approvazione della Legge n. 207/2024, cambia il volto degli incentivi fiscali destinati al settore audiovisivo e cinematografico. Introdotte nuove soglie, criteri di selezione più stringenti e un ruolo rafforzato dello Stato nella gestione dei diritti sulle opere. Più selettività, diritti pubblici e digitalizzazione

Con l’approvazione della Legge di Bilancio 2025 (Legge n. 207/2024), il settore cinematografico e audiovisivo italiano affronta una svolta significativa nella disciplina degli incentivi fiscali, in particolare con l’introduzione di nuove modalità per l’accesso al credito d’imposta (tax credit) e un rafforzamento del ruolo pubblico nella gestione dei diritti sulle opere finanziate.

Riforma della Legge 220/2016: tutti gli articoli interessati dal restyling

Il comma 869 della Legge di Bilancio 2025 modifica sette articoli fondamentali della normativa sul cinema, rivedendo fondi, crediti, contributi selettivi e digitalizzazione.

Il cuore della riforma si trova nel comma 869 dell’articolato, composto da sette lettere (da a) a g)), che interviene su vari articoli della Legge n. 220/2016, ovvero la legge quadro sul cinema e l’audiovisivo. Le modifiche riguardano sia strumenti finanziari come fondi e crediti d’imposta, sia interventi culturali e strategici, come la digitalizzazione e la promozione del patrimonio audiovisivo.

Gli articoli oggetto di revisione sono 7:

  • Art. 12 – Obiettivi e tipologie di intervento;

  • Art. 13 – Fondo per lo sviluppo degli investimenti;

  • Art. 15 – Credito d’imposta per le imprese di produzione;

  • Art. 21 – Disposizioni comuni sui crediti d’imposta;

  • Art. 26 – Contributi selettivi per progetti di alto valore culturale;

  • Art. 29 – Piano straordinario per la digitalizzazione;

  • Art. 32 – Registro pubblico delle opere.

Nuova disciplina del tax credit per le imprese di produzione

Aliquote flessibili e criteri differenziati: come cambia il tax credit per i produttori

Il credito d’imposta non sarà più fisso ma variabile tra il 15% e il 40%, con accesso subordinato a requisiti qualitativi, dimensionali e territoriali. In evidenza il favore per le produzioni europee e indipendenti.

Uno degli aspetti più innovativi riguarda l’articolo 15, relativo al credito d’imposta per le imprese di produzione cinematografica e audiovisiva. Il nuovo meccanismo prevede una fascia variabile tra il 15% e il 40% del costo di produzione, lasciando ampio margine di discrezionalità al legislatore secondario tramite decreto ministeriale.

Verso un incentivo fiscale più strategico e meritocratico

Il tetto del 40% non è più garantito: spetterà ai decreti ministeriali calibrare l’aliquota in funzione della tipologia di opera e del soggetto beneficiario, valorizzando l’impatto culturale e la sostenibilità economica. Modulazione in base a criteri qualitativi e dimensionali

Il credito sarà modulato secondo parametri oggettivi come:

  • Dimensione dell’impresa o gruppo;

  • Costi eleggibili e soglie massime di spesa;

  • Tipologia di distribuzione (cinema, TV, piattaforme OTT);

  • Coinvolgimento di emittenti nazionali o coproduzioni internazionali;

  • Appartenenza dell’impresa all’Unione Europea e indipendenza produttiva.

Questo criterio selettivo rispecchia una tendenza europea a concentrare le risorse pubbliche su progetti culturalmente significativi e industrialmente sostenibili. In Francia, ad esempio, il Centre National du Cinéma (CNC) adotta da anni un sistema di sostegni selettivi simile, orientato a rafforzare il pluralismo dell’offerta.

Si introduce un tetto specifico per i compensi riconosciuti alle figure artistiche e tecniche coinvolte nella produzione.

L’obiettivo è evitare squilibri nella ripartizione del beneficio fiscale e favorire la trasparenza. Verso un tax credit più “intelligente”

Il tetto massimo del 40% non sarà più la regola, ma l’eccezione riservata a produzioni strategiche. Il tax credit diventa così un incentivo intelligente, pensato per premiare qualità, innovazione e radicamento nel tessuto industriale europeo.

Nuove regole comuni per i crediti: stretta sui compensi professionali e maggiore trasparenza

Modifiche sostanziali investono anche l’articolo 21, che disciplina le regole comuni per l’attribuzione dei crediti d’imposta a tutti i soggetti della filiera (produzione, distribuzione, esercizio, post-produzione). Con la lettera d) del comma 869 viene introdotto un nuovo limite ai compensi professionali agevolabili tramite tax credit.

  • Il limite si applica esclusivamente alle imprese di produzione;

  • È parametrato secondo le indicazioni del Decreto Legge 201/2011, art. 23-ter;

  • Tiene conto della tipologia dell’opera e della natura della prestazione (es. attoriale, registica, tecnica).

La misura intende evitare che parte significativa del beneficio fiscale venga assorbita da cachet elevati, garantendo invece una distribuzione più equa delle risorse lungo l’intero processo produttivo.

Novità strategiche: diritti statali, selettività e digitalizzazione

Lo Stato diventa co-titolare dei diritti: cambia il paradigma del finanziamento pubblico

La legge prevede la possibilità di compartecipazione statale ai proventi delle opere finanziate. Una novità assoluta nel sistema italiano, pensata per rendere il fondo cinema più autonomo e autofinanziato.

1. Diritti delle opere: lo Stato diventa comproprietario

Per la prima volta, la normativa introduce la possibilità per lo Stato di acquisire una quota dei diritti economici delle opere finanziate tramite tax credit. Il ritorno economico derivante da questa quota verrà reinvestito nel Fondo per il cinema e l’audiovisivo, con l’obiettivo di rendere il sistema autofinanziato e circolare.

Questa misura richiama il modello tedesco della Filmförderungsanstalt (FFA), dove l’intervento pubblico può comportare forme di compartecipazione agli utili.

2. Raddoppio delle risorse per i contributi selettivi

Più fondi a selettivi e promozione: spazio a progetti innovativi e di qualità

Aumenta al 30% la quota del Fondo cinema destinata al sostegno diretto alle opere di valore culturale. Un segnale chiaro verso la promozione dell’eccellenza creativa e della diversità espressiva.

La percentuale delle risorse del Fondo destinate ai contributi selettivi e alla promozione passa dal 15% al 30%. Si potenzia così il sostegno a:

  • Opere a elevato valore artistico e culturale;

  • Progetti sperimentali e indipendenti;

  • Iniziative di promozione internazionale.

3. Digitalizzazione permanente del patrimonio audiovisivo

Digitalizzazione continua: 3 milioni l’anno per salvare la memoria audiovisiva

Il piano di digitalizzazione del patrimonio diventa strutturale e permanente. Una misura chiave per tutelare l’identità culturale italiana e ampliare l’accessibilità del nostro archivio audiovisivo storico.

Il Piano di digitalizzazione diventa strutturale, con uno stanziamento annuo di 3 milioni di euro a partire dal 2025. Obiettivo: garantire la conservazione, accessibilità e fruizione del patrimonio audiovisivo italiano. Si rafforza così l’impegno verso la modernizzazione del settore e la memoria culturale collettiva.

Conclusioni: verso un ecosistema più sostenibile e competitivo

La riforma del tax credit 2025 segna un passaggio decisivo verso un sistema di finanziamento più selettivo, sostenibile e strategico, in linea con i modelli virtuosi europei. L’introduzione di aliquote flessibili, la compartecipazione pubblica ai diritti, il contenimento dei costi e il potenziamento della promozione e digitalizzazione creano le basi per un’industria audiovisiva più robusta, internazionale e culturalmente rilevante.

Il cinema italiano, sostenuto ma anche responsabilizzato, è chiamato ora a rispondere con qualità, innovazione e visione industriale, consolidando la propria posizione nel panorama globale.

AI Training e Diritto d’Autore: verso un registro unico per l’opt-out?

Gianpaolo Todisco - Partner

Manca poco al 2 agosto 2025, data chiave per l’entrata in vigore degli obblighi previsti dall’AI Act (Reg. UE 2024/1689). Entro allora, i fornitori di modelli di intelligenza artificiale generativa dovranno garantire il rispetto del diritto d’autore nell’attività di text e data mining (TDM), consentendo ai titolari dei diritti di esercitare l’opzione di opt-out.

Ma come si esercita, concretamente, questa riserva?
Le soluzioni tecniche attuali – come il vetusto robots.txt – non convincono il settore culturale. Alternative più mirate, come Spawning o ai.txt, stanno emergendo, ma il quadro resta frammentato. La recente sentenza del Tribunale di Amburgo (Kneschke/LAION, 27 settembre) ha riconosciuto la validità di un opt-out espresso in linguaggio naturale, rilanciando il dibattito su come interpretare il regolamento.

Un registro unico per l’opt-out?
Per portare ordine, la Commissione Europea sta valutando la creazione di un registro centrale delle riserve. Potrebbe essere gestito dall’AI Office o dall’EUIPO, e servirebbe a offrire una piattaforma chiara e accessibile per chi intende escludere le proprie opere dall’addestramento dei modelli AI.

Ma restano dubbi:

  • Chi sosterrà i costi di gestione?

  • Non rischia di diventare un ostacolo burocratico per i creatori?

  • Perché formalizzare un diritto già tutelato per legge?

    Innovazione sì, ma non a discapito del diritto d’autore

    L’Europa punta sull’intelligenza artificiale, ma dovrà farlo tutelando anche il lavoro di autori, editori e creatori di contenuti. La soluzione? Forse uno standard semplice e condiviso per l’opt-out, senza complicazioni né zone grigie.

Il dibattito è aperto. Il tempo stringe.

Opere biografiche e diritti della personalità: spunti legali per i biopic.

Gianpaolo Todisco - Partner

Le opere biografiche cinematografiche, comunemente note come "biopic", rappresentano un interessante caso di studio nel panorama giuridico italiano, dove il delicato equilibrio tra diritti della personalità e libertà di espressione artistica richiede particolare attenzione. Il quadro normativo di riferimento si fonda principalmente sugli articoli 2 e 21 della Costituzione, che tutelano rispettivamente i diritti inviolabili della persona e la libertà di manifestazione del pensiero. A questi si aggiungono gli articoli 6-10 del Codice Civile, che disciplinano il diritto al nome, all'immagine e alla riservatezza.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20925/2005, ha stabilito che l'opera biografica gode di tutela autoriale ai sensi della Legge sul diritto d'autore (L. 633/1941) quando presenta caratteri di originalità nella rielaborazione creativa dei fatti storici, manifestata attraverso scelte stilistiche e compositive distintive.
Un aspetto cruciale riguarda la necessità di autorizzazione preventiva da parte del soggetto biografato o dei suoi eredi.

L'orientamento giurisprudenziale prevalente non richiede tale autorizzazione, purché vengano rispettati tre limiti fondamentali:

  • La narrazione deve basarsi su fatti di pubblico dominio o verificabili;

  • Il trattamento dei fatti deve rispettare la dignità personale del soggetto

  • Non devono essere violati diritti fondamentali come l'onore e la reputazione.

Questo approccio si basa sul principio che le vicende biografiche di personaggi pubblici appartengono al patrimonio culturale collettivo e non possono essere oggetto di diritti esclusivi, ferma restando la tutela dei diritti della personalità.

Per quanto riguarda gli aspetti pratici, è consigliabile:

  • Informare preventivamente i soggetti interessati

  • Documentare accuratamente le fonti utilizzate

  • Inserire disclaimer sulla natura creativa dell'opera

Un caso emblematico è rappresentato dal film "Aline - La voce dell'amore" (2021), biografia non autorizzata ispirata alla vita di Céline Dion. Pur modificando i nomi dei personaggi, il film ha mantenuto una forte aderenza alla storia della cantante, dimostrando come sia possibile realizzare opere biografiche legittime anche senza autorizzazione, nel rispetto dei limiti legali ed etici.

La giurisprudenza di merito ha più volte confermato che il diritto di cronaca e di critica storica, quando esercitato nel rispetto dei canoni di verità e continenza espressiva, prevale sul diritto alla riservatezza per fatti di interesse pubblico riguardanti personaggi noti.

È interessante notare la differenza con il sistema statunitense, dove il "right of publicity" conferisce al titolare il controllo esclusivo sullo sfruttamento commerciale della propria identità personale, creando un approccio più restrittivo alla realizzazione di opere biografiche non autorizzate.


In caso di violazione dei diritti della personalità, l'ordinamento italiano prevede tutele sia risarcitorie (ex art. 2043 c.c.) che inibitorie (ex art. 700 c.p.c.), garantendo un'adeguata protezione dei soggetti coinvolti.

 

L'Intelligenza Artificiale è un Autore?

Le attuali leggi sulla proprietà intellettuale sono state concepite in un’epoca in cui la creatività era prerogativa esclusiva dell’essere umano. Tuttavia, l’uso crescente di AI generative, come ChatGPT per i testi o MidJourney per le immagini, ha reso necessario un ripensamento delle normative.

Al momento, la maggior parte delle legislazioni internazionali stabilisce che solo un essere umano può essere considerato autore o inventore.

Ad esempio l’Ufficio Brevetti e Marchi degli Stati Uniti (USPTO): ha respinto più volte richieste di brevetto per invenzioni realizzate da AI, sostenendo che solo un essere umano può essere riconosciuto come inventore.

L’Ufficio per la Proprietà Intellettuale del Regno Unito (UKIPO),  segue la stessa linea, escludendo l’AI come possibile titolare di diritti d'autore.

Unione Europea: anche l’EUIPO e la Corte di Giustizia Europea concordano sul fatto che solo una persona fisica può rivendicare il copyright su un’opera.

La giurisprudenza italiana ha elaborato una nozione di creatività che, come evidenziato dalla Cassazione nella sentenza n. 25173/2011, "non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta", ma si riferisce alla "personale e individuale espressione di un'oggettività". Questo principio è stato ulteriormente sviluppato dalla Cassazione con sentenza n. 10300/2020, che ha specificato come l'opera debba "riflettere la personalità del suo autore, manifestando le scelte libere e creative di quest'ultimo".

Il sistema italiano, come confermato dal Codice Civile all'art. 2575, riconosce il diritto d'autore sulle "opere dell'ingegno di carattere creativo", presupponendo una connessione diretta tra l'opera e la personalità del suo creatore. Come evidenziato dal Tribunale di Firenze nella sentenza n. 1372/2022, "il diritto d'autore non protegge le idee ma solo la forma espressiva che l'autore dà all'opera, poiché è nella forma espressiva che l'autore manifesta la propria creatività ed esprime la propria personalità".

Un punto di dibattito è se l’AI possa essere riconosciuta come autore a tutti gli effetti. Attualmente, gli enti di regolamentazione considerano l’AI come uno strumento, e i diritti sulle opere generate spettano al programmatore o all’utente che ha dato l’input per la creazione. Tuttavia, in alcuni casi l’intervento umano è minimo o addirittura inesistente, rendendo difficile stabilire la paternità dell’opera.

L’assenza di una normativa chiara pone diversi problemi. In primo luogo la protezione legale: le opere generate da AI potrebbero non essere protette da copyright, rendendole liberamente utilizzabili da chiunque.

Da punto di vista del plagio e delle violazioni di copyright,  molte AI sono addestrate su dati esistenti e potrebbero creare contenuti che assomigliano a opere protette da copyright, sollevando questioni legali.

Infine, se le AI generano opere d’arte, musica e testi su larga scala, gli artisti e i creativi rischiano di vedere il loro lavoro svalutato o sostituito.

Possibili Soluzioni e Prospettive Future

 

  • Nuove categorie di copyright: creare una nuova forma di protezione per le opere generate da AI con una percentuale di coinvolgimento umano.

  • Attribuzione dei diritti: assegnare la proprietà delle opere AI al creatore dell’algoritmo o a chi ha fornito l’input creativo.

  • Regolamentazione dell’uso dell’AI: definire regole chiare su come addestrare AI senza violare i diritti d’autore preesistenti.

In conclusione, l’intelligenza artificiale sta trasformando il panorama della proprietà intellettuale e pone sfide che i legislatori devono affrontare rapidamente. Fino a quando le normative non saranno aggiornate, aziende e creatori dovranno prestare attenzione nell’uso di contenuti generati da AI per evitare problemi legali. Il dibattito è ancora aperto, e le decisioni prese oggi definiranno il futuro della creatività nell’era digitale.

La Corte di Giustizia UE: il rifiuto di interoperabilità di una piattaforma digitale può costituire abuso di posizione dominante

Gianpaolo Todisco - Partner

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che un’impresa in posizione dominante non può rifiutare l’interoperabilità della propria piattaforma con un’applicazione di terze parti senza una giustificazione valida. Questo comportamento, infatti, potrebbe configurarsi come un abuso di posizione dominante.

La sentenza è stata emessa in seguito al ricorso presentato da Google contro una sanzione inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) italiana. L’AGCM aveva multato l’azienda per oltre 102 milioni di euro dopo aver accertato che aveva impedito a Enel X di integrare la sua app JuicePass con Android Auto. Quest’app consente agli utenti di trovare e prenotare stazioni di ricarica per veicoli elettrici e la mancata interoperabilità avrebbe limitato la sua competitività, penalizzando i consumatori.

Secondo la Corte, se una piattaforma digitale è concepita per essere utilizzata anche da soggetti terzi, l’impresa che la gestisce non può negare l’accesso senza un motivo legittimo. Tra le possibili eccezioni rientrano ragioni di sicurezza o ostacoli tecnici insormontabili.

In assenza di tali giustificazioni, l’azienda dominante deve garantire un modello di interoperabilità entro un termine ragionevole e può richiedere un compenso economico adeguato per il servizio. Questo principio rafforza la disciplina della concorrenza nel mercato digitale e introduce nuove responsabilità per le grandi piattaforme tecnologiche attive nell’UE.

La decisione della Corte potrebbe avere un impatto significativo sul settore digitale, influenzando le politiche di accesso alle piattaforme e la regolamentazione del mercato tecnologico in Europa.

AI Act: le prime disposizioni entrano in vigore il 2 febbraio 2025.

AI Act: Entrata in vigore delle prime disposizioni

Gianpaolo Todisco - Partner

Il 2 febbraio 2025 segna una tappa fondamentale per l’AI Act, con l’entrata in vigore delle prime normative a livello dell’Unione Europea. Questo regolamento introduce un quadro giuridico armonizzato per tutti gli Stati membri, imponendo regole comuni a chi sviluppa, commercializza o utilizza sistemi di intelligenza artificiale nell’UE. L’obiettivo principale è ridurre la frammentazione normativa, tutelando i diritti fondamentali sanciti dall’articolo 1 e promuovendo un mercato interno conforme alla Carta di Nizza.

Soggetti coinvolti

Le nuove disposizioni riguardano principalmente due categorie:

• Sviluppatori e fornitori di intelligenza artificiale, che devono garantire la conformità dei propri sistemi ai criteri stabiliti dall’AI Act prima della loro commercializzazione.

• Utenti finali e organizzazioni operanti in settori regolamentati, obbligati a rispettare le norme previste, soprattutto per le applicazioni classificate ad alto rischio.

Obblighi chiave per aziende e organizzazioni

A partire dal 2 febbraio 2025, le imprese e le organizzazioni che utilizzano l’intelligenza artificiale devono adeguarsi a due principali obblighi:

1. Divieto di pratiche di intelligenza artificiale a rischio inaccettabile

L’AI Act adotta un approccio basato sulla classificazione del rischio, suddividendo i sistemi di AI in quattro categorie:

• Rischio minimo: sistemi come filtri anti-spam, privi di restrizioni normative.

• Rischio limitato: applicazioni come i chatbot, soggette a obblighi di trasparenza.

Alto rischio: sistemi utilizzati in settori critici (sanità, giustizia, valutazione del personale), sottoposti a rigorose misure di conformità e monitoraggio.

Rischio inaccettabile: pratiche vietate a partire dal 2 febbraio 2025.

Le pratiche proibite includono:

• Manipolazione subliminale o ingannevole, ovvero sistemi che influenzano il comportamento senza consenso.

• Sfruttamento delle vulnerabilità di gruppi specifici, come minori o persone con disabilità.

• Social scoring, sistemi di valutazione della reputazione basati su dati personali, con effetti discriminatori.

• Identificazione biometrica in tempo reale in spazi pubblici, salvo eccezioni specifiche.

• Riconoscimento delle emozioni in contesti sensibili, come lavoro e istruzione.

• Creazione di banche dati biometriche mediante scraping, ovvero la raccolta non autorizzata di dati biometrici online.

Le aziende devono assicurarsi di non adottare queste pratiche nei propri prodotti e servizi. Le violazioni possono comportare sanzioni fino a 35 milioni di euro o il 7% del fatturato annuo globale, a seconda dell’importo maggiore.

1. Obbligo di alfabetizzazione sull’AI

L’articolo 4 dell’AI Act impone a imprese e pubbliche amministrazioni di fornire formazione adeguata sul funzionamento e sui rischi dell’intelligenza artificiale. Questo obbligo si estende anche a chi, pur non operando direttamente nel settore tecnologico, utilizza l’AI nei propri processi.

• Le misure richieste includono:

• Programmi di formazione per i dipendenti sulle opportunità e sui rischi dell’AI.

• Linee guida interne per l’uso responsabile dell’intelligenza artificiale.

2. Sensibilizzazione su implicazioni etiche e legali dell’AI.

L’AI Act si applica non solo ai fornitori stabiliti nell’UE, ma anche a quelli extraeuropei i cui sistemi vengano utilizzati nel territorio dell’Unione.

Tappe successive e nuovi obblighi

L’implementazione dell’AI Act avverrà gradualmente, con scadenze chiave nei prossimi anni.

3. Agosto 2025

Entreranno in vigore disposizioni specifiche sulla governance dell’AI e sugli obblighi per i modelli di intelligenza artificiale di uso generale. Le aziende dovranno:

• Mantenere una documentazione dettagliata su test e sviluppo dei sistemi.

• Adottare procedure standardizzate per garantire la sicurezza lungo il ciclo di vita del sistema.

• Effettuare valutazioni periodiche di conformità.

Il mancato rispetto di queste disposizioni comporterà sanzioni significative.

4. Agosto 2026

L’AI Act sarà pienamente operativo e si applicherà a tutti i sistemi di intelligenza artificiale, inclusi quelli classificati ad alto rischio. Le organizzazioni dovranno adottare ulteriori misure, tra cui:

• Valutazioni d’impatto per identificare e mitigare i rischi.

• Monitoraggio continuo per rilevare anomalie nei sistemi di AI.

Conclusione

L’AI Act rappresenta un passo cruciale nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale in Europa, garantendo uno sviluppo tecnologico sicuro e rispettoso dei diritti fondamentali. Le aziende e le organizzazioni devono adattarsi progressivamente ai nuovi obblighi per evitare sanzioni e assicurare un uso etico e responsabile dell’AI.

La Corte di Giustizia sulla protezione della DSW Chair di Charles Eames.

Il 24 ottobre 2024, la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ha stabilito che i Paesi dell'UE non possono negare la protezione del diritto d'autore alle opere originali di arte applicata solo perché provengono da Paesi terzi che non offrono una protezione simile. Finché un'opera soddisfa la definizione di originalità dell'UE, deve essere protetta dalla legge sul diritto d'autore dell'UE, indipendentemente dal luogo in cui è stata creata o dall'autore.

Questa sentenza, che fa seguito a una richiesta della Corte Suprema olandese, rafforza l'impegno dell'UE a favore di un sistema di copyright unificato basato sull'originalità piuttosto che sul paese di origine.

Contesto: Il caso Vitra vs. Kwantum

Il caso riguarda Vitra, un'azienda svizzera di mobili che detiene i diritti sui progetti dei designer americani Charles e Ray Eames. Una delle loro famose creazioni, la Dining Sidechair Wood (DSW Chair), è stata progettata nel 1950 per un concorso del Museum of Modern Art (MoMA).

Kwantum, un rivenditore di mobili belga-olandese, vendette una sedia simile, chiamata “Paris Chair”, che secondo Vitra era una copia della DSW Chair. Vitra ha citato in giudizio Kwantum nei Paesi Bassi per violazione del copyright.

La Corte Suprema olandese ha chiesto alla CGUE se i Paesi dell'UE possano negare la protezione del copyright a opere straniere sulla base della clausola di reciprocità della Convenzione di Berna. Questa clausola stabilisce che se un Paese non appartenente all'UE non protegge un tipo di opera con il diritto d'autore, anche un Paese dell'UE può rifiutare di proteggerla.

La sentenza della CGUE

La CGUE ha deciso che i Paesi dell'UE non possono utilizzare la clausola di reciprocità della Convenzione di Berna per negare la protezione del diritto d'autore. Al contrario, la legge dell'UE (in particolare la Direttiva Infosoc 2001/29) ha la precedenza e richiede la stessa protezione per tutte le opere originali.

Aspetti salienti della decisione

  1. L'originalità è l'unico requisito

    • La tutela del diritto d'autore nell'UE si basa esclusivamente sull'originalità.

    • Casi precedenti (come Cofemel e Brompton Bicycle) hanno confermato che se un'opera è originale, si qualifica per la protezione del copyright.

  2. Diritto d'autore armonizzato in tutta l'UE

    • Consentire ai singoli Paesi dell'UE di applicare regole diverse comprometterebbe l'obiettivo di avere un sistema di copyright unificato.

  3. Rispetto dei diritti fondamentali

    • La Carta dei diritti fondamentali dell'UE tutela il diritto d'autore come diritto fondamentale.

    • Solo il legislatore dell'UE (non i singoli Paesi) può decidere se le opere straniere debbano ricevere una protezione limitata.

  4. Parità di trattamento per le opere straniere

    • A differenza della durata del diritto d'autore e dei diritti di rivendita, la legge sul diritto d'autore dell'UE non prevede regole di reciprocità.

    • La Direttiva Infosoc si applica indipendentemente dal luogo di creazione dell'opera o dalla nazionalità dell'autore.

Impatto della decisione

La sentenza conferma che tutte le opere originali devono essere trattate allo stesso modo ai sensi della legge sul diritto d'autore dell'UE, indipendentemente dal loro paese d'origine. Ciò rafforza la protezione del diritto d'autore in tutta l'UE e garantisce che gli artisti e i designer extracomunitari godano degli stessi diritti dei creatori residenti nell'UE.

Tuttavia, la sentenza solleva anche alcune preoccupazioni. Affermando che tutte le opere che soddisfano lo standard di originalità devono essere protette, la CGUE potrebbe aver trascurato se l'UE intendesse effettivamente regolare l'accesso al diritto d'autore degli autori stranieri in questo modo.

Ciononostante, la decisione apre il mercato dell'UE a un maggior numero di opere straniere, offrendo protezione anche ai creatori di Paesi che non tutelano il diritto d'autore per i propri cittadini.

Conclusione

Questa sentenza rappresenta un passo significativo verso un sistema di copyright unico e unificato nell'UE. Sebbene alcuni esperti legali discutano se questo approccio fosse nelle intenzioni originarie dell'UE, il risultato è chiaro: tutte le opere originali sono protette nell'UE, indipendentemente dalla loro origine.

Ecodesign e sostenibilità: il Regolamento UE 2024/1781 che cambia le regole del gioco.

Gianpaolo Todisco - Partner

Con l’obiettivo di realizzare una rivoluzione sostenibile nel mercato europeo, il Regolamento UE 2024/1781 sull’ecodesign (ESPR, Ecodesign for Sustainable Products Regulation) stabilisce nuovi standard per la progettazione dei prodotti. Questa normativa si colloca nel contesto del Green Deal europeo, puntando a una maggiore sostenibilità e a un impatto ambientale ridotto. Ecco le principali novità:

  • Prodotti più duraturi e sostenibili: il regolamento promuove la realizzazione di prodotti progettati per durare nel tempo, facilmente riparabili e riciclabili, privilegiando materiali riciclati e sostenibili.

  • Trasparenza e tracciabilità a portata di clic: grazie all’introduzione del Passaporto Digitale dei Prodotti, sarà possibile accedere a informazioni cruciali come composizione, impatti ambientali e opzioni per il fine vita dei prodotti.

  • Stop alla distruzione degli invenduti: per settori come la moda, diventa obbligatorio il riutilizzo o la donazione di beni non venduti, eliminando lo spreco.

Le sfide per le imprese

Le aziende saranno chiamate a un cambiamento radicale nei processi produttivi e gestionali. In particolare, dovranno:

  • Sviluppare sistemi per raccogliere dati sugli invenduti e sul ciclo di vita dei prodotti;

  • Aggiornare i propri processi per allinearsi ai nuovi standard di progettazione e divulgazione;

  • Adottare tecnologie avanzate per implementare il Passaporto Digitale dei Prodotti.

Prodotti sotto la lente: le priorità dell’UE

Entro aprile 2025, la Commissione Europea presenterà un piano operativo per individuare i prodotti prioritari, con particolare attenzione a quelli con maggiore impatto ambientale. Tra i principali settori interessati troviamo:

  • Tessili, inclusi abbigliamento e calzature;

  • Materiali come ferro, acciaio e alluminio;

  • Mobilio, dai letti ai materassi;

  • Pneumatici, detergenti, vernici e lubrificanti;

  • Sostanze chimiche ed elettronica, comprese tecnologie ICT ed energia.

Un passaporto per l’economia circolare

Il Passaporto Digitale dei Prodotti rappresenta una delle innovazioni più significative del regolamento. Questo strumento raccoglierà informazioni fondamentali su:

  • Composizione dei materiali;

  • Impatto ambientale;

  • Modalità di riparazione e riciclo;

  • Tracciabilità dell’intero ciclo di vita.

L’obiettivo è creare un’economia circolare efficiente, dove i dati saranno facilmente accessibili agli attori della filiera.

Focus sul settore moda: verso una maggiore responsabilità

La normativa introduce requisiti stringenti per il settore della moda, imponendo:

  • Trasparenza sugli invenduti: le aziende dovranno rendere pubbliche le informazioni sulla destinazione dei capi e degli accessori non venduti.

  • Divieto di distruzione: sarà vietato eliminare gli invenduti. Riutilizzo e donazione diventeranno la norma.

Quando entra in vigore?

Per le grandi imprese, i cambiamenti saranno operativi dal 2026. Considerando l’impatto significativo di queste misure, è fondamentale che le aziende inizino fin da subito a:

  1. Valutare come il regolamento influenzerà i propri prodotti;

  2. Predisporre sistemi per il monitoraggio e la gestione degli invenduti;

  3. Pianificare strategie sostenibili per garantire la conformità normativa.

Un nuovo corso per la sostenibilità

L’ESPR non è solo una regolamentazione, ma una vera e propria sfida per ridefinire le regole del mercato europeo. Le aziende che sapranno adattarsi in modo proattivo non solo garantiranno la conformità, ma potranno anche acquisire un vantaggio competitivo in un panorama sempre più orientato alla sostenibilità.

Pubblicato il decreto NIS 2

Gianpaolo Todisco - Partner

È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1° ottobre 2024 il Decreto Legislativo n. 138, che recepisce la direttiva (UE) 2022/2555, nota come NIS 2. Le disposizioni previste entreranno in vigore a partire dal 18 ottobre 2024.

Questo provvedimento rappresenta un passo significativo per l’Italia nella gestione della sicurezza informatica, con l’introduzione di misure volte a garantire un elevato livello comune di cyber security sia a livello nazionale che nell’intera Unione Europea.

L’adozione di questo decreto avviene in un contesto sempre più digitalizzato, in cui la sicurezza informatica si è affermata come una priorità cruciale. Le minacce informatiche, infatti, diventano sempre più sofisticate, mettendo in pericolo la stabilità delle infrastrutture critiche e la protezione dei dati sensibili.

In questo scenario, il Decreto Legislativo che attua la direttiva NIS 2 si configura come una tappa fondamentale per il rafforzamento della sicurezza informatica, sia per l’Italia che per l’Unione Europea.

Il provvedimento mira principalmente a proteggere le infrastrutture essenziali, introducendo nuovi obblighi per le aziende considerate cruciali per l’economia e la società. Queste misure sono pensate per aumentare la resilienza e ridurre la vulnerabilità nei confronti delle crescenti minacce cibernetiche.

Requisiti tecnici

Uno degli obiettivi principali del regolamento è garantire che le entità soggette alla Direttiva NIS 2 adottino misure tecniche e metodologiche proporzionate per gestire i rischi informatici. Tali misure devono essere adeguate ai rischi specifici a cui le entità sono esposte, considerando fattori come la loro dimensione, la probabilità di incidenti e la gravità degli stessi, compresi gli impatti economici e sociali. I requisiti tecnici si basano su standard internazionali riconosciuti, come ISO/IEC 27001 ed ETSI EN 319, e devono essere adattati alle caratteristiche operative di ciascuna entità.

Il regolamento richiede l'adozione di un approccio sistematico alla gestione del rischio, comprendente politiche dedicate alla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi. Tra le misure consigliate vi sono la gestione degli accessi e la segmentazione della rete, per garantire che solo persone e sistemi autorizzati possano accedere alle risorse critiche.

Un aspetto rilevante riguarda le piccole e medie imprese (PMI), che possono adottare misure compensative in caso di difficoltà nel soddisfare completamente i requisiti tecnici o metodologici. Tuttavia, è necessario che tali misure siano documentate e che vengano implementate soluzioni alternative per mitigare i rischi.

Incidenti significativi

Un punto centrale del regolamento è la definizione di "incidente significativo" (art. 3), che si verifica quando è soddisfatto almeno uno dei seguenti criteri:

  • Danno economico diretto superiore a 500.000 euro o al 5% del fatturato totale annuo dell’entità (se inferiore);

  • Esfiltrazione di segreti commerciali ai sensi della direttiva (UE) 2016/943;

  • Morte di una persona fisica;

  • Danni significativi alla salute di una persona fisica.

Sono esclusi gli eventi programmati, come interruzioni pianificate, che non rientrano nella categoria degli incidenti significativi.

Per valutare l'impatto degli incidenti, il regolamento stabilisce che le entità considerino il numero di utenti direttamente interessati, includendo sia clienti finali sia entità che utilizzano i servizi forniti.

Il regolamento introduce anche il concetto di incidenti ricorrenti (art. 4). Se più incidenti minori con una causa comune si verificano in un periodo di sei mesi e insieme soddisfano i criteri di un incidente significativo, vengono trattati come un unico grande incidente. Questo approccio punta a identificare carenze sistemiche nella gestione dei rischi e rafforzare la sicurezza complessiva.

La gestione del rischio

Le entità devono sviluppare un piano di gestione del rischio che includa l'identificazione, l'analisi e il trattamento dei rischi legati alla sicurezza di reti e sistemi informativi. Questo piano deve essere rivisto almeno una volta all’anno o in occasione di cambiamenti operativi significativi.

Un aspetto chiave è l'adozione di pratiche di cyber hygiene di base, come:

  • Segmentazione delle reti;

  • Autenticazione multifattoriale;

  • Aggiornamenti regolari del software;

  • Protezione contro il phishing e altre tecniche di ingegneria sociale.

Inoltre, le entità devono promuovere programmi di sensibilizzazione e formazione per dipendenti e fornitori, con aggiornamenti periodici per tenere conto delle evoluzioni nel panorama delle minacce. La loro efficacia deve essere verificata tramite test regolari.

Per garantire la resilienza operativa, le entità sono tenute a predisporre piani di continuità operativa e disaster recovery. Questi devono includere analisi dell'impatto aziendale, obiettivi di ripristino e ruoli e responsabilità in caso di emergenza. I piani devono essere testati e aggiornati regolarmente per garantirne l’efficacia.

La supply chain

La gestione del rischio si estende anche ai fornitori e partner della catena di fornitura. Il regolamento prevede che le entità stabiliscano politiche specifiche per la sicurezza della supply chain, inclusi criteri di selezione e contrattualizzazione dei fornitori. Questi criteri devono valutare le pratiche di sicurezza informatica e la capacità dei fornitori di soddisfare i requisiti previsti.

Le entità devono monitorare continuamente i fornitori e aggiornare i contratti per assicurare il rispetto delle specifiche di sicurezza. L’utilizzo di certificazioni di cybersecurity è incoraggiato per garantire che prodotti e servizi soddisfino standard adeguati di protezione.

In sintesi, il regolamento mira a costruire un ecosistema più sicuro e resiliente, rafforzando la sicurezza informatica a tutti i livelli, dalle singole entità alle intere catene di fornitura, promuovendo la prevenzione e la gestione efficace dei rischi.

Il Tribunale dell’UE conferma la nullità del marchio Chiquita: mancano i requisiti di distintività


Gianpaolo Todisco - Partner.

Il Tribunale dell’Unione Europea ha confermato la decisione dell’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO) di annullare il marchio registrato da Chiquita Brands, rappresentato da un ovale blu e giallo, per la frutta fresca, incluse le banane. La sentenza sancisce che il marchio non possiede un carattere distintivo sufficiente per identificare l’origine commerciale dei prodotti e, pertanto, non può beneficiare della tutela legale esclusiva.

Il contesto della vicenda

Chiquita Brands aveva registrato il marchio presso l’EUIPO per una vasta gamma di prodotti alimentari. Tuttavia, nel 2020, la società francese Compagnie financière de participation ha presentato una richiesta di annullamento, sostenendo che l’ovale blu e giallo mancasse di carattere distintivo per i prodotti legati alla frutta fresca.

Nel maggio 2023, l’EUIPO ha accolto parzialmente la richiesta, invalidando il marchio per la frutta fresca, incluse le banane. La decisione si basava sull’incapacità del marchio di distinguersi efficacemente sul mercato e sull’insufficienza delle prove fornite da Chiquita per dimostrare che il simbolo avesse acquisito un carattere distintivo attraverso l’uso prolungato.

Le motivazioni della sentenza

Il Tribunale dell’UE ha rigettato il ricorso di Chiquita, confermando la nullità del marchio per la frutta fresca sulla base di tre principali argomentazioni:

1. Forma e caratteristiche del marchio

Il marchio è costituito da un semplice ovale, una forma geometrica comune e priva di elementi distintivi significativi.

Nel settore delle banane, le etichette ovali sono ampiamente utilizzate per motivi pratici, come la facile applicazione sui frutti curvi, riducendo così la possibilità di considerarle un elemento univoco.

2. Colori utilizzati

La combinazione cromatica blu e giallo, pur essendo visivamente riconoscibile, è comunemente adottata nel settore della frutta fresca e non possiede un carattere unico o distintivo.

3. Prove insufficienti di distintività acquisita

La maggior parte delle prove presentate da Chiquita riguardava solo quattro Stati membri dell’UE, senza dimostrare un riconoscimento uniforme del marchio su scala europea.

In molte delle evidenze fornite, il marchio ovale era sempre associato alla parola “Chiquita” o ad altri elementi grafici, rendendo difficile attribuire al solo ovale blu e giallo un’effettiva capacità distintiva.

Implicazioni della decisione

La sentenza riafferma un principio fondamentale: un marchio, per essere tutelato, deve distinguersi chiaramente e univocamente sul mercato, attraverso caratteristiche uniche che lo rendano immediatamente riconoscibile rispetto ai concorrenti. Elementi comuni, come forme geometriche o combinazioni di colori standard, non sono sufficienti senza prove solide che dimostrino un carattere distintivo acquisito in tutta l’Unione Europea.

Conseguenze per Chiquita Brands

Sebbene Chiquita possa continuare a utilizzare l’ovale blu e giallo nel proprio logo, perderà la tutela esclusiva del marchio per la categoria “frutta fresca”. Questo significa che altre aziende potrebbero utilizzare elementi grafici simili senza incorrere in violazioni di proprietà intellettuale.

La decisione rappresenta un monito per le aziende che puntano a registrare marchi basati su elementi generici o largamente diffusi, sottolineando l’importanza di dimostrare il valore distintivo attraverso un’ampia e documentata percezione del consumatore a livello europeo.

Come i brand proteggono le loro borse iconiche.

Gianpaolo Todisco - Partner

Le borse di design sono simboli iconici, progettate non solo per rappresentare un marchio, ma anche per distinguere chi le possiede. Portano i nomi dei più influenti creatori di moda e arricchiscono lo stile di celebrità come Beyoncé. Tuttavia, la loro popolarità le rende spesso oggetto di imitazioni, anche se ciò non giustifica la diffusione di prodotti contraffatti.

Grandi marchi come Hermès, Chanel e Louis Vuitton si avvalgono di diversi diritti di proprietà intellettuale per proteggere la loro reputazione. Allo stesso tempo, le borse offrono una vetrina importante per i nuovi designer che vogliono farsi notare rapidamente.

Una borsa può essere protetta da vari diritti di proprietà intellettuale contemporaneamente. Un esempio significativo è la collaborazione del 2017 tra Jeff Koons e Louis Vuitton: il dipinto sulla borsa è protetto dal diritto d'autore, il logo e il nome del marchio sono tutelati da marchi registrati, mentre la forma della borsa rientra nella protezione del design industriale. Se la borsa utilizza materiali innovativi o un processo di produzione unico, anche questi potrebbero essere coperti da brevetti. Esporre loghi prominenti su borse e capi di abbigliamento è una tendenza diffusa, soprattutto per attrarre le generazioni più giovani, come i Millennials e la Gen Z, che sono particolarmente attive su piattaforme social come Instagram, dove amano mostrare i brand che indossano.

1. I marchi

I marchi registrati sono una delle forme di protezione della proprietà intellettuale più utilizzate nell'industria della moda. Proteggono elementi come nomi distintivi, loghi e immagini che indicano l'origine del prodotto. Le case di moda si affidano molto ai marchi, poiché questi possono essere rinnovati indefinitamente, a determinate condizioni, e il loro valore cresce nel tempo. Il logo di Louis Vuitton, ad esempio, è uno dei marchi più potenti nel settore. Fondata nel 1854, l'azienda ha ottenuto la protezione del suo famoso "monogramma toile" già nel 1896. Con un'eredità così consolidata, Louis Vuitton adotta una politica di tolleranza zero verso la contraffazione, dichiarando che la protezione della creatività e dei diritti dei designer è cruciale per la loro sopravvivenza a lungo termine.

Le violazioni di marchi, in particolare la contraffazione, possono confondere i consumatori e danneggiare la reputazione dei designer, e questo è il fulcro di molte controversie nel mondo della moda. Per registrare un marchio, il proprietario deve dimostrare che il marchio è distintivo. In caso di violazione, deve provare che il marchio in questione può indurre i consumatori a confondere la provenienza del prodotto.

2. Il diritto d’autore

Il diritto d'autore può tutelare una borsa, ma solo in parte. Questo diritto protegge le opere originali di creazione, come i motivi artistici, i disegni grafici e gli elementi decorativi che possono essere integrati in una borsa. Tuttavia, gli aspetti funzionali, come la forma o i dettagli pratici, non sono coperti da questa protezione, e devono essere difesi con altri strumenti di proprietà intellettuale. Il vantaggio del diritto d'autore è che in molte giurisdizioni non richiede una registrazione formale, e i designer possono far valere i loro diritti in tribunale se necessario.

3. Il brevetto

I brevetti possono proteggere i componenti di una borsa, ma il processo di ottenimento è complesso e richiede tempo. Marchi come Hermès e Louis Vuitton hanno sia la capacità economica che legale di tutelare i loro prodotti attraverso brevetti, anche quando il successo di una causa legale potrebbe essere incerto. Per ottenere un brevetto, un prodotto deve essere nuovo, utile e non ovvio per un esperto del settore. Ad esempio, una nuova chiusura o un materiale innovativo possono essere oggetto di brevetto. Louis Vuitton ha una lunga storia in questo ambito, avendo ottenuto il suo primo brevetto per un lucchetto nel 1890, e recentemente ha brevettato una borsa con schermo OLED flessibile.

4. I diritti di design industriale

I diritti di design industriale, conosciuti anche come brevetti di design, sono un'opzione efficace per proteggere le caratteristiche estetiche di una borsa. Questa protezione si applica a elementi tridimensionali, come la forma, e a quelli bidimensionali, come motivi e colori. Questo tipo di tutela permette ai marchi di evitare di dover dimostrare la distintività o il rischio di confusione, ed è per questo che aziende come Hermès, Chanel e persino nuovi designer come Victoria Beckham vi ricorrono.

5. La concorrenza sleale

Anche se le forme di protezione sopra descritte sono efficaci, creare un design distintivo può richiedere ulteriori misure di tutela. Le aziende possono presentare reclami per concorrenza sleale contro i concorrenti che imitano l’aspetto generale dei loro prodotti. Per avere successo, devono dimostrare che il design del prodotto è distintivo e che la sua imitazione crea confusione tra i consumatori o danneggia la reputazione dell'azienda.

Quando i diritti di proprietà intellettuale sono applicati, i designer e le aziende ottengono l'esclusiva per produrre e vendere i loro prodotti. In questo modo, la proprietà intellettuale trasforma una borsa stagionale in un oggetto iconico e duraturo, contribuendo a rafforzare l'identità della casa madre.

Il Tribunale di Bologna sui diritti autorali del fotografo e fotografie pubblicate sui social networks

Gianpaolo Todisco - Partner

Il Tribunale di Bologna si è recentemente espresso sulla pubblicazione di una fotografia su testate giornalistiche, affermando che quando vi è un interesse pubblico, limita i diritti esclusivi dell'autore. Quest'ultimo, pur non potendosi opporre alla riproduzione e diffusione dell'immagine, ha comunque diritto a ricevere un compenso equo. Tuttavia, la testata che desidera pubblicare una fotografia raffigurante un personaggio di attualità deve ottenere preventivamente l'autorizzazione dell'autore, se questo è noto.

Non è sufficiente, per il titolare del profilo social su cui è stato pubblicato un contenuto digitale, presumere di detenere i diritti d'autore della fotografia. Se la foto è stata inizialmente condivisa su un profilo Facebook di terzi, e non da chi l'ha scattata, questa presunzione non ha alcun valore.

La malafede non può essere equiparata a negligenza, poiché implica un comportamento volutamente malevolo. Di conseguenza, non si può parlare di malafede nel caso in cui venga scaricata una fotografia pubblicata su un profilo Facebook di terzi senza watermark digitale, a meno che non si possa dimostrare che chi ha riprodotto la foto fosse già a conoscenza dell’identità dell’autore al momento della pubblicazione. Tale prova è a carico dell'autore della fotografia.

Inoltre, ai fini della dimostrazione della malafede del riproduttore, non ha rilevanza il fatto che il contenuto sia stato scaricato senza richiedere preventivamente l'autorizzazione al titolare del profilo social su cui è stato pubblicato. Nemmeno l'accettazione del rischio di violare i diritti di terzi (come nel caso del titolare del profilo Facebook) può essere considerata malafede nei confronti dell'autore della fotografia.

Infine, eventuali accordi successivi raggiunti tra il riproduttore e altre testate giornalistiche che hanno pubblicato la stessa fotografia senza consenso non costituiscono una prova di malafede.

Avviata un'istruttoria contro Shein.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’istruttoria nei confronti di Infinite Styles Services CO. Limited, la società con sede a Dublino che gestisce il sito web italiano di Shein. L’indagine riguarda la possibile ingannevolezza di alcune affermazioni ambientali presenti nelle sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “Responsabilità sociale” del sito shein.com.

Secondo l’Autorità, i messaggi promozionali relativi alla sostenibilità dei capi di abbigliamento Shein potrebbero essere vaghi, confusi o fuorvianti. In particolare, si fa riferimento all’uso di termini come “circolarità” e alla qualità “sostenibile” della collezione evoluSHEIN, che potrebbero indurre i consumatori a credere che i prodotti contengano una maggiore quantità di fibre ecologiche rispetto alla realtà. Inoltre, sarebbe omessa l’informazione sulla limitata riciclabilità degli stessi capi.

L’Autorità segnala anche che Shein enfatizzerebbe in modo generico il proprio impegno nel processo di decarbonizzazione, nonostante i rapporti sulla sostenibilità del 2022 e 2023 indichino un incremento delle emissioni di gas serra, in contraddizione con quanto dichiarato.

L’istruttoria mira a valutare se la società abbia adottato pratiche di comunicazione potenzialmente ingannevoli riguardo alla sostenibilità ambientale, con particolare attenzione all’impatto del settore del “fast fashion” in cui opera.

Recenti proposte legislative in materia di AI e Diritto d’Autore.

Gianpaolo Todisco - Partner

Recentemente il Senato si è proposto di inserire all’articolo 171, comma 1, della legge 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore), una lettera a-ter, ai sensi della quale viene punito

chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi forma, riproduce o estrae testo o dati da opere o altri materiali disponibili in rete o in banche di dati in violazione degli articoli 70-ter e 70-quater, anche attraverso sistemi di intelligenza artificiale.

Il “sistema di intelligenza artificiale” viene definito quale “sistema automatizzato progettato per funzionare con livelli di autonomia variabili e che può presentare adattabilità dopo la diffusione e che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce dall'input che riceve come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali”.

Va, a proposito, aggiunto che il d.d.l. inserisce l’art. 70-septies nella L.D.A., secondo cui la riproduzione e l’estrazione di opere o altri materiali attraverso modelli e sistemi di intelligenza artificiale anche generativa, sono consentite in conformità con gli articoli 70-ter e 70-quater.

Il d.d.l. si propone, inoltre, di introdurre il reato di “Illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di intelligenza artificiale” (art 612-quater c.p.):

Chiunque cagiona un danno ingiusto ad una persona, cedendo, pubblicando o altrimenti diffondendo, senza il suo consenso, immagini, video o voci falsificati o alterati mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale e idonei a indurre in inganno sulla loro genuinità, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio ovvero se è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, o di una pubblica autorità a causa delle funzioni esercitate

Nulla è previsto in tema di responsabilità dell’ente ai sensi del d.lg. 231/2001.

Ancora: l’”aver commesso il fatto mediante l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale” (in quanto tali, a prescindere dall’uso insidioso) costituirà circostanza aggravante per i seguenti delitti:

  • Sostituzione di persona (art 494 c.p.)

  • Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio (art 501 c.p.)

  • Truffa (art 640 c.p.)

  • Frode informatica (art 640-ter c.p.)

  • Riciclaggio (art 648-bis c.p.)

  • Reimpiego (art 648-ter c.p.)

  • Autoriciclaggio (art 648-ter.1)

  • Aggiotaggio (art 2637 c.c.) 

  • Manipolazione del mercato (art 185 T.U.F.)

Infine, il Governo viene delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per definire organicamente la disciplina dei casi di uso di sistemi di intelligenza artificiale per finalità illecite.