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Il Blanding tra minimalismo e rischi legali

Gianpaolo Todisco

Negli ultimi anni, l’industria della moda ha assistito a una diffusa tendenza al rebranding. Molti marchi hanno abbandonato i loro loghi originali, ricchi di personalità, a favore di wordmark puliti, minimalisti e in caratteri sans-serif. Questo cambiamento – spesso definito blanding – è guidato dal principio di design “less is more” (meno è meglio). Tuttavia, se da un lato questa estetica risponde ai gusti contemporanei, dall’altro solleva importanti interrogativi sulla autenticità del brand e sulla sua tutela legale.

Il Costo legale della semplicità

A prima vista, il blanding può sembrare una semplice fase stilistica. Ma ha implicazioni legali più profonde – in particolare nel campo del diritto dei marchi, dove la distintività è la base della protezione. Man mano che i loghi diventano più uniformi e meno espressivi, la loro capacità di distinguere un marchio da un altro si riduce. Questa erosione della distintività può compromettere la tutela giuridica del marchio.

I principali rischi legali includono:

  1. Perdita della protezione del marchio: se un nuovo logo non mantiene un’impressione commerciale coerente, il marchio potrebbe non essere più tutelabile.

  2. Continuità d’uso: per conservare i diritti legali, un marchio deve dimostrare un uso costante e continuativo. Un rebranding drastico può interrompere questa continuità.

Perché i brand adottano il Blanding

Nonostante i rischi, il blanding presenta diversi vantaggi:

  1. Protezione legale più ampia: i wordmark semplici si basano sulla forza del nome stesso, offrendo potenzialmente una copertura legale più estesa.

  2. Ottimizzazione digitale: i loghi minimalisti sono versatili su tutti i dispositivi, risultando molto funzionali per l’e-commerce e i social media.

  3. Visibilità semplificata: i design essenziali sono più facili da riconoscere attraverso vari canali, migliorando il richiamo del marchio in un ambiente digitale affollato.

Gli Svantaggi dell’omogeneità

Tuttavia, questi vantaggi hanno un prezzo:

  1. Valutazione legale complessa: tribunali e uffici marchi possono avere difficoltà a stabilire se i vecchi e nuovi loghi trasmettano la stessa impressione commerciale.

  2. Perdita di identità: i loghi semplificati possono indebolire la capacità del marchio di distinguersi, compromettendo riconoscibilità e impatto emotivo.

  3. Distacco culturale: il rebranding può abbandonare elementi visivi legati alla tradizione e all’artigianalità.

  4. Estetica generica: con sempre più marchi che adottano stili simili, le identità visive si confondono, diluendo l’unicità.

  5. Sacrificare il carattere per apparire moderni: la ricerca di un look contemporaneo spesso porta a un branding generico e poco memorizzabile.

Questa tensione rivela il paradosso del blanding: pur nascendo per rafforzare il branding attraverso la semplicità, spesso conduce a un’uniformità visiva che mina ciò che il marchio rappresenta davvero.

La Rinascita del Re-Rebranding

Oggi, il pendolo sta tornando indietro. Sta emergendo una nuova contro-rivoluzione del branding, che privilegia la specificità, la personalità e l’eredità storica. I marchi stanno riscoprendo il valore della tipografia ricercata, delle palette cromatiche sfumate e dei richiami storici.

Un esempio significativo è il rebranding di Burberry nel 2023 sotto la direzione creativa di Daniel Lee, che ha reintrodotto un logo con caratteri serif ispirati al patrimonio del brand. Questa nuova ondata abbandona l’ossessione per la scalabilità digitale, puntando invece su profondità visiva e distintività.

Le Implicazioni legali

Con questo nuovo approccio, il ruolo del consulente legale diventa ancora più cruciale. Il branding non è più solo una questione di marketing, ma una scelta strategica che implica gestione del rischio, valorizzazione degli asset e posizionamento culturale. L’identità visiva deve essere trattata come un patrimonio giuridico, non soltanto estetico.

Conclusione: alla ricerca dell’equilibrio

Sebbene la tendenza minimalista nel branding sia nata per rispondere alle esigenze delle piattaforme digitali, ha generato vulnerabilità legali inaspettate. La distintività resta il fondamento di un marchio forte. Loghi eccessivamente semplificati possono compromettere sia il riconoscimento da parte dei consumatori che la protezione legale.

I brand devono quindi trovare un equilibrio attento – abbracciare la modernità senza rinunciare alla propria unicità. Nella maggior parte dei casi, aggiornamenti graduali e strategici sono più efficaci di trasformazioni radicali. Questo approccio consente di preservare il valore del marchio riducendo al minimo i rischi legali associati a un rebranding drastico.

Ambush marketing e tutela degli investimenti promozionali tra passato e futuro

In vista delle prossime olimpiadi invernali, che vedranno i territori montani di Lombardia e Veneto protagonisti della scena sportiva mondiale, un importante strumento normativo tutelerà i marchi d’impresa registrati, anche dalla pubblicità parassitaria e ingannevole, realizzata nell’ambito non solo delle olimpiadi, ma di tutti gli eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale che si svolgeranno sul territorio italiano.

La nuova disciplina che contrasta la pubblicizzazione non autorizzata, è contenuta nel decreto-legge sulle 'Disposizioni urgenti per l'organizzazione e lo svolgimento dei Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e delle finali ATP Torino 2021 - 2025, nonché in materia di divieto di pubblicizzazione parassitaria', pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.66 del 13 marzo 2020, convertito in legge 8 maggio 2020, n.31 e pubblicato nella G.U. n.121 del 12 maggio 2020 e rappresenta il primo intervento organico del legislatore italiano in questa materia, essendo stato preceduto unicamente da provvedimenti contingenti a singoli eventi sportivi.

La pubblicità non autorizzata, associata ad eventi di risonanza nazionale o internazionale “è definita nella prassi definita come “ambush marketing” e individua la condotta non autorizzata di chi associ il proprio marchio ad un evento internazionale, al solo fine sfruttarne la risonanza mediatica e senza sopportare i costi di sponsorizzazione.

L’ambush marketing da luogo non solo ad un inganno per il pubblico - che assocerà il marchio illecitamente connesso all’evento all’evento stesso - ma anche ad un agganciamento parassitario con gli effettivi sponsor della manifestazione e può costituire una violazione delle norme poste a presidio della concorrenza sleale (art. 2598 c.c.) e della leale comunicazione pubblicitaria (decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145 e Codice dell’Autodisciplian Pubblicitaria).

Nello specifico, la norma vieta le seguenti attività:

  1. la creazione di un collegamento indiretto tra un marchio o altro segno distintivo e uno degli eventi, idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali;
  2. la falsa dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale di uno degli eventi;
  3. la promozione del proprio marchio o altro segno distintivo, tramite qualunque azione, non autorizzata dall'organizzatore, che sia idonea ad attirare l'attenzione del pubblico, posta in essere in occasione di uno degli eventi, e idonea a generare nel pubblico l'erronea impressione che l'autore della condotta sia sponsor dell'evento sportivo o fieristico medesimo;
  4. la vendita e la pubblicizzazione di prodotti o di servizi abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo di un evento sportivo o fieristico, ovvero con altri segni distintivi idonei a indurre in errore circa il logo medesimo e a ingenerare l'erronea percezione di un qualsivoglia collegamento con l'evento ovvero con il suo organizzatore.

A seconda delle modalità con cui viene posto in essere, l’ambush marketing viene solitamente classificato in:  “insurgent ambush”, ovvero l’organizzazione di iniziative a sorpresa a ridosso dell’evento;  “predatory ambush”, che utilizza segni distintivi in connessione con o che richiamano anche indirettamente l’evento  “saturation ambush”, che occupa tutti gli spazi pubblicati rimasti rispetto a quelli utilizzati dagli sponsor ufficiali.

Sotto un profilo temporale, i divieti operano dal novantesimo giorno antecedente alla data ufficiale di inizio dell’evento sportivo o fieristico, fino al novantesimo giorno successivo alla sua conclusione, mentre, da un punto di vista dell’operatività, sono esclusi dalla norma i contratti di sponsorizzazione degli atleti, delle squadre e dei partecipanti agli eventi.

L’autorità preposta all’accertamento e alla repressione delle condotte di ambush marketing è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che può applicare sanzioni pecuniarie amministrative, che variano a seconda dei casi da 100 mila euro a 2,5 milioni di euro.

Recentemente, proprio l’AGCM si è occupata di una caso di ambush marketing relativo alla coppa UEFA 2020 , arrivando a multare l’e-commerce Zalando com 100.000 euro di multa nei confronti di Zalando SE ("Zalando"), per violazione dell'articolo 10, comma 1 e 2, lettera a), del decreto legge n. 16 dell'11 marzo 2020.

La concotta censurata consisteva nell’esposizione, nella stessa piazza di Roma dove era allestita l'area ufficiale di Euro 2020, di un manifesto che domandava "Chi sarà il vincitore?" accompagnato dai segni distintivi di Zalando apposti su di una maglia da calcio affinacato dalle bandiere delle nazionali di Euro 2020.

Questa pubblicità è stata ritenuta illecita dall’AGCM in quanto il manifesto di Zalando era idoneo a far credere ai consumatori che Zalando fosse un partner accreditato dell’evento in quanto creava un’indebita connessione tra Zalando stessa e l’evento del quale non era sponsor ufficiale.

La decisione dell’Agcm è risultata attenta a valorizzare tutte le circostanze del caso e, pertanto, in vista dei prossimi giochi invernali, è di primaria importanza che le imprese valutino attentamente le proprie campagne di marketing prima di incorrere accidentalmente in profili di violazione delle norme pubblicitarie.