concorrenza

Come i brand proteggono le loro borse iconiche.

Gianpaolo Todisco - Partner

Le borse di design sono simboli iconici, progettate non solo per rappresentare un marchio, ma anche per distinguere chi le possiede. Portano i nomi dei più influenti creatori di moda e arricchiscono lo stile di celebrità come Beyoncé. Tuttavia, la loro popolarità le rende spesso oggetto di imitazioni, anche se ciò non giustifica la diffusione di prodotti contraffatti.

Grandi marchi come Hermès, Chanel e Louis Vuitton si avvalgono di diversi diritti di proprietà intellettuale per proteggere la loro reputazione. Allo stesso tempo, le borse offrono una vetrina importante per i nuovi designer che vogliono farsi notare rapidamente.

Una borsa può essere protetta da vari diritti di proprietà intellettuale contemporaneamente. Un esempio significativo è la collaborazione del 2017 tra Jeff Koons e Louis Vuitton: il dipinto sulla borsa è protetto dal diritto d'autore, il logo e il nome del marchio sono tutelati da marchi registrati, mentre la forma della borsa rientra nella protezione del design industriale. Se la borsa utilizza materiali innovativi o un processo di produzione unico, anche questi potrebbero essere coperti da brevetti. Esporre loghi prominenti su borse e capi di abbigliamento è una tendenza diffusa, soprattutto per attrarre le generazioni più giovani, come i Millennials e la Gen Z, che sono particolarmente attive su piattaforme social come Instagram, dove amano mostrare i brand che indossano.

1. I marchi

I marchi registrati sono una delle forme di protezione della proprietà intellettuale più utilizzate nell'industria della moda. Proteggono elementi come nomi distintivi, loghi e immagini che indicano l'origine del prodotto. Le case di moda si affidano molto ai marchi, poiché questi possono essere rinnovati indefinitamente, a determinate condizioni, e il loro valore cresce nel tempo. Il logo di Louis Vuitton, ad esempio, è uno dei marchi più potenti nel settore. Fondata nel 1854, l'azienda ha ottenuto la protezione del suo famoso "monogramma toile" già nel 1896. Con un'eredità così consolidata, Louis Vuitton adotta una politica di tolleranza zero verso la contraffazione, dichiarando che la protezione della creatività e dei diritti dei designer è cruciale per la loro sopravvivenza a lungo termine.

Le violazioni di marchi, in particolare la contraffazione, possono confondere i consumatori e danneggiare la reputazione dei designer, e questo è il fulcro di molte controversie nel mondo della moda. Per registrare un marchio, il proprietario deve dimostrare che il marchio è distintivo. In caso di violazione, deve provare che il marchio in questione può indurre i consumatori a confondere la provenienza del prodotto.

2. Il diritto d’autore

Il diritto d'autore può tutelare una borsa, ma solo in parte. Questo diritto protegge le opere originali di creazione, come i motivi artistici, i disegni grafici e gli elementi decorativi che possono essere integrati in una borsa. Tuttavia, gli aspetti funzionali, come la forma o i dettagli pratici, non sono coperti da questa protezione, e devono essere difesi con altri strumenti di proprietà intellettuale. Il vantaggio del diritto d'autore è che in molte giurisdizioni non richiede una registrazione formale, e i designer possono far valere i loro diritti in tribunale se necessario.

3. Il brevetto

I brevetti possono proteggere i componenti di una borsa, ma il processo di ottenimento è complesso e richiede tempo. Marchi come Hermès e Louis Vuitton hanno sia la capacità economica che legale di tutelare i loro prodotti attraverso brevetti, anche quando il successo di una causa legale potrebbe essere incerto. Per ottenere un brevetto, un prodotto deve essere nuovo, utile e non ovvio per un esperto del settore. Ad esempio, una nuova chiusura o un materiale innovativo possono essere oggetto di brevetto. Louis Vuitton ha una lunga storia in questo ambito, avendo ottenuto il suo primo brevetto per un lucchetto nel 1890, e recentemente ha brevettato una borsa con schermo OLED flessibile.

4. I diritti di design industriale

I diritti di design industriale, conosciuti anche come brevetti di design, sono un'opzione efficace per proteggere le caratteristiche estetiche di una borsa. Questa protezione si applica a elementi tridimensionali, come la forma, e a quelli bidimensionali, come motivi e colori. Questo tipo di tutela permette ai marchi di evitare di dover dimostrare la distintività o il rischio di confusione, ed è per questo che aziende come Hermès, Chanel e persino nuovi designer come Victoria Beckham vi ricorrono.

5. La concorrenza sleale

Anche se le forme di protezione sopra descritte sono efficaci, creare un design distintivo può richiedere ulteriori misure di tutela. Le aziende possono presentare reclami per concorrenza sleale contro i concorrenti che imitano l’aspetto generale dei loro prodotti. Per avere successo, devono dimostrare che il design del prodotto è distintivo e che la sua imitazione crea confusione tra i consumatori o danneggia la reputazione dell'azienda.

Quando i diritti di proprietà intellettuale sono applicati, i designer e le aziende ottengono l'esclusiva per produrre e vendere i loro prodotti. In questo modo, la proprietà intellettuale trasforma una borsa stagionale in un oggetto iconico e duraturo, contribuendo a rafforzare l'identità della casa madre.

Divieto di concorrenza nella cessione d’azienda: il silenzio può costare caro

Mattia Raffaelli – Of Counsel Sofia Mercedes Bovoli– Trainee

Mattia Raffaelli – Of Counsel

Sofia Mercedes Bovoli– Trainee

Importante disposizione che occorre tener in considerazione quando ci si appresta a una cessione di azienda, di un ramo di azienda o in ogni caso ad un’operazione assimilabile alla stessa, è l’art. 2557 del codice civile in materia di concorrenza.

L’art. 2557 c.c. sancisce, a specifica tutela dell’acquirente di un’azienda, il divieto per il cedente, in seguito al perfezionamento dell’operazione, di condurre attività concorrenziale, per un periodo di tempo massimo di cinque anni dall’avvenuta cessione. Pertanto, quale effettuo naturale ed automatico della cessione, chiunque proceda all’alienazione di un’azienda dovrà astenersi dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.

Due sono le questioni che occorre evidenziare: da una parte l’applicazione automatica del divieto e dall’altra la forza estensiva e l’applicazione analogica dello stesso.

Analizzando per punti:

a) L’applicazione automatica del divieto: il divieto di concorrenza è posto dal legislatore quale effetto naturale della cessione d’azienda, alla base della funzione economica sociale dell’operazione stessa. Pertanto, nel silenzio delle parti, tale divieto dispiegherà i propri effetti indipendentemente da una esplicita volontà in tal senso. Di conseguenza, se non disposto diversamente, si applicherà automaticamente il divieto nei limiti e alle condizioni imposte dal legislatore.

Tuttavia, è concesso alle parti di derogare al divieto di concorrenza sia nell’ipotesi di un affievolimento che di un irrobustimento dello stesso. Innanzitutto, con riguardo alla durata del medesimo, è possibile prevedere una durata inferiore ai 5 anni previsti dal legislatore, ma mai superiore e ciò in ragione della tutela dell’iniziativa privata del cedente. Inoltre, l’ambito di applicazione del divieto può essere limitato da un punto di vista dell’oggetto o dell’ubicazione e pertanto si potrà impedire al cedente di esercitare l’attività in concorrenza soltanto in un delimitato territorio e per specifiche attività. Al contrario, in maniere specularmente opposta, è possibile prevedere limiti che vadano ad ampliare l’efficacia del disposto normativo, estendendo l’oggetto del divieto ad attività ulteriori rispetto a quelle già esercitate tramite l’azienda ceduta. In ogni caso, le eventuali deroghe “peggiorative” imposte a carico del cedente non possono essere tali da impedire di fatto lo svolgimento di ogni attività professionale da parte del medesimo.

b) Forza estensiva e applicazione analogica del disposto: la Cassazione ha in più di un’occasione ribadito il carattere non eccezionale del divieto e pertanto ha riconosciuto, a più riprese, l’applicazione analogica dell'articolo 2557 c.c.. Di conseguenza, pare opportuno individuare le fattispecie e le operazioni assimilabili alla cessione d’azienda alle quali è possibile estendere tale divieto.

Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere possibile l'applicazione analogica del divieto a tutte le ipotesi in cui nella sostanza si realizzino operazioni assimilabili e analoghe alla cessione di azienda o di un ramo di essa. La giurisprudenza ha riconosciuto l’applicazione automatica del divieto anche nel caso della cessione di partecipazioni di maggioranza di una società. La violazione di tale divieto, inoltre, si realizzerebbe sia nel caso in cui i soci cedenti costituiscano una nuova società con medesimo oggetto sociale di quella ceduta sia nel caso in cui gli stessi assumano la qualifica di amministratori in una società concorrente. L’esigenza di tutela del cessionario è sempre la medesima, si pensi, ad esempio, alla possibilità di sviamento della clientela derivante dal subentro nella gestione aziendale di un soggetto che, essendo noto alla clientela, della quale conosce tendenze e abitudini, può avere sulla stessa un a considerevole capacità di attrazione . Pertanto, al fine di valutare la possibile applicazione analogica del disposto dell’art. 2557 c.c., anche in ragione della sua applicazione automatica, occorre valutare caso per caso la volontà sottesa delle parti e il risultato economico che intendono perseguire con una determinata operazione. Non di rado, infatti, la scelta fra cessione d'azienda o di partecipazioni sociali è determinata principalmente da ragioni di opportunità fiscale o di limitazione delle responsabilità del cessionario.

Occorre precisare che la violazione del divieto di concorrenza disciplinato all’art. 2557 c.c. darebbe titolo al cessionario di richiedere:

a) la risoluzione per inadempimento contrattuale.

b) Il risarcimento del danno patito e subito a conseguenza della violazione (pari, ad esempio, al minor guadagno o alla diminuzione del valore dell’azienda dovuto allo sviamento della clientela);

c) l’inibitoria, in via cautelare, della condotta illecita ai sensi dell’art. 700 c.p.c.

In conclusione, tenuto conto dell’effetto automatico della normativa qui analizzata, quando ci si appresta a operazioni che di fatto realizzano una sostituzione di un soggetto a un altro nella conduzione dell'impresa e nell’esercizio di una data attività, è necessario, onde evitare di incorrere in spiacevoli sorprese, muoversi di conseguenza, disciplinando l’applicazione e la portata del divieto.