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Provvedimento dell'AGCOM a Google: contestata la violazione delle norme sul divieto di pubblicità di giochi d’azzardo.

L’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), in seguito allo svolgimento dell’attività di monitoraggio d’ufficio finalizzata alla verifica del rispetto del divieto di pubblicità relativo a giochi o scommesse con vincite in denaro sancito dall’articolo 9 del “Decreto dignità”, ha provveduto a contestare nei confronti di Google Ireland Limited la realizzazione di un illecito mediante l’utilizzo del servizio “Google ADS”.

L’AGCOM ha riscontrato, tra il 14 e il 15 novembre 2019, che digitando le parole chiave "Casinò online", compariva su Google Web Search, sottoforma di annuncio pubblicitario, un link con la seguente descrizione: "Unisciti Ora Al Nuovissimo Casinò Online Italiano. Gioca Subito A Oltre 400 Giochi – Iscriviti Ora E Registrati In Meno Di 30 Secondi! Nessun download. Sicuro e Protetto". Inoltre, tale sito conteneva una lista di link ad ulteriori siti web che, in alcuni casi, consentivano di giocare a pagamento online.

Per questo, l’Autorità ha dichiarato la violazione dell’articolo 9 del suddetto Decreto, cui obiettivo era quello di contrastare il disturbo da gioco d’azzardo. L’atto di contestazione è stato notificato in data 7 gennaio 2020.

Una volta data lettura agli atti, sono state sollevate alcune questioni difensive ed una in particolare merita attenzione: qualificare Google come un hosting provider attivo ovvero passivo. Il primo svolge una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell’illecito arricchendo in modo non passivo la fruizione dei contenuti: filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione. Per quanto riguarda il secondo, invece, è responsabile per non aver provveduto all’immediata rimozione dei contenuti illeciti, una volta avuta conoscenza legale dell’illecito. La distinzione rileva per il regime di responsabilità più favorevole riconosciuto ai secondi.

Secondo le società appartenenti al gruppo, tra cui Google Ireland, non può essere loro contestato l’illecito per la motivazione che segue. Alla luce della descrizione del funzionamento della piattaforma Google Ads, l’inserzionista sceglie in piena libertà le parole chiave del suo annuncio ed è direttamente responsabile per i contenuti. Per questo, Google Ireland può rappresentare un hosting provider passivo e, ai sensi dell’art. 16 del d. lgs. n. 70/2003, non è responsabile delle informazioni ospitate su richiesta del destinatario del servizio a condizione che non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita ovvero non appena venga a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso. Inoltre, l’art. 17 non prevede un obbligo generale di sorveglianza delle informazioni ospitate o un obbligo generale di ricerca attiva di fatti/circostanze relativi ad attività illecite: la società non può effettuare un controllo generalizzato su tutti i contenuti che discendono dalla pagina dell’annuncio. Infatti, sarebbe stato l’inserzionista ad aver voluto raggirare il sistema di verifiche predisposto da Google attuando una condotta denominata “cloaking”, che consiste nel mostrare al software una pagina di destinazione dell’annuncio conforme alla normativa, per poi mostrarne agli utenti una differente.

Dall’altro lato, AGCOM ritiene, invece, che Google Ads sia qualificabile quale un servizio, a titolo oneroso, di indicizzazione e promozione di siti web e, dunque, che Google Ireland (in qualità di titolare del servizio Google Ads) rientri indubitabilmente tra i soggetti destinatari del divieto di cui all’articolo 9 del “Decreto dignità”, in quanto “proprietario del mezzo di diffusione” e “fornitore di servizi di indicizzazione a pagamento”.

Dunque, alla società viene contestato uno specifico contenuto, oggetto di un contratto fra la piattaforma e l’esercente dell’attività sul web; ciò permette di affermare che tale stipulazione generi un’assunzione di responsabilità da parte di Google. Infatti, risulta non condivisibile, per le stesse ragioni, l’affermazione secondo cui la società esercita il ruolo di hosting provider meramente passivo in quanto, in questo caso, non si tratta di un banale caricamento in cui la società si limita a mettere a disposizione il mero spazio, bensì qui lo spazio viene venduto divenendo oggetto di promozione, grazie all’indicizzazione privilegiata che vede “salire” il sito, per consentire maggiori visualizzazioni da parte degli utenti.

Infine, anche laddove fosse astrattamente applicabile il regime più favorevole applicato agli hosting provider passivi, comunque nel caso di specie non ricorrerebbero i presupposti dal momento che Google era a conoscenza dell’illiceità del messaggio pubblicitario, avendolo preventivamente approvato, e non ha provveduto tempestivamente a rimuoverlo, dato che successivamente digitando la medesima parola chiave “casinò online” su Google Search era possibile raggiungere gli stessi siti.

Una prima impugnazione a tale provvedimento, da parte di Google, è stata proposta al TAR nel 2021, il quale, soffermandosi anche sulla distinzione tra provider attivo e passivo, ha escluso la sussistenza dell’illecito ascritto alle società.

Successivamente, invece, con la recentissima sentenza (13/05/24), il Consiglio di Stato ha ribaltato la tesi del TAR e della giurisprudenza ormai granitica: Google non rientrerebbe nella posizione di hosting provider passivo, bensì attivo. Secondo il Collegio, la distinzione deve esser fatta tra Google Web Search e Google ADS, dove il primo consente agli utenti di ricercare contenuti pubblicati da terze parti. Per quanto riguarda invece Google ADS, tramite il quale è stato pubblicato l’annuncio oggetto di contestazione da parte dei AGCOM, esso è un servizio di posizionamento pubblicitario online che consente agli operatori economici di pubblicare “link sponsorizzati” verso i cosiddetti “siti di destinazione“, i quali sono associati a determinate parole o chiavi di ricerca, che Google deduce essere scelte dall’inserzionista.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che tale servizio pubblicitario non vede Google quale mero hosting provider passivo, dal momento che la società svolge un servizio di indicizzazione e promozione di contenuti di terze parti non rimanendo, pertanto, “neutrale” rispetto a detti contenuti ma promuovendoli sul mercato e avendo al riguardo un proprio interesse economico alla buona riuscita di tale promozione. Google, nei sensi anzidetti, realizza quindi un “controllo” delle informazioni pubblicate e consente ai suoi clienti di “ottimizzare la loro vendita online”. Alla luce di tanto ha quindi rilevato integrati i presupposti richiesti dalla giurisprudenza, comunitaria e nazionale, per poter qualificare un operatore quale hosting provider attivo.

Per questo l’alternativa potrebbe essere non tanto quella di rivendicare un regime di esenzione sempre e comunque ma, piuttosto, rinunciare agli (o ridurre il numero degli) inserzionisti.

Abusi di dominanza. Google/Android

L’Autorità antitrust italiana (AGCM) ha mostrato rinnovata attenzione nel combattere gli abusi di dominanza, sanzionando pesantemente Google (€102 milioni) per aver ostacolato l’accesso su Android Auto (AA - di proprietà di Google) ad un’applicazione (Juicepass) sviluppata da Enel e finalizzata alla ricerca/prenotazione di colonnine di ricarica elettrica per auto. La negata interoperabilità tra JuicePass e AA comportava che quando l’utente/conducente cercava le colonnine di ricarica su AA per localizzarle e prenotarsene una, quelle di JuicePass non gli apparivano.

Google, in tal modo, ha favorito la propria app Google Maps (e i suoi clienti inserzionisti di pubblicità, concorrenti di Enel), che poteva essere utilizzata su Android Auto, consentendo servizi funzionali alla ricarica dei veicoli elettrici in concorrenza con JuicePass. Quanto alla soglia di dominanza, ricordiamo che Android, e quindi AA, è utilizzato da circa il 75% degli utilizzatori, una quota che rende certamente difficile confutare la dominanza di Google su questo mercato.

Questo caso mostra nuovamente la necessaria cautela per le prescrizioni del diritto antitrust che deve guidare le imprese dominanti nella definizione delle loro politiche commerciali.