IL TENTATIVO DI NIKE DI REGISTRARE IL MARCHIO “FOOTWARE”

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 Alla fine del mese scorso, la Nike ha presentato una domanda di marchio per la registrazione presso l'US Patent and Trademark Office ("USPTO") per la parola "FOOTWARE" - da utilizzare in connessione con i moduli hardware del computer specifici della sneaker per la ricezione, elaborazione e trasmissione di dati in Internet di dispositivi elettronici di cose; dispositivi elettronici e software per computer che consentono agli utenti di interagire da remoto con altri dispositivi intelligenti per il monitoraggio e il controllo di sistemi automatici ", tra gli altri prodotti e servizi hardware e software.

Sembra che Nike abbia provato ad estendere la registrazione alla classe 25 (ad esempio, la classe di marchio che copre le scarpe). Questa è una registrazione che nemmeno la Nike probabilmente otterrebbe, perché il marchio sarebbe considerato descrittivo dei prodotti che si riferiscono alle scarpe, e quindi non registrabile.

Probabilmente Nike inizierà a “brandizzare” qualsiasi tipo di scarpe intelligenti come FOOTWARE invece che FOOTWEAR. A giudicare da quanto famoso e potente siano i be noti segni"Just Do It" e la “swoosh”, il nuovo marchio potrebbe prendere piede e, in definitiva, servire a identificare le scarpe intelligenti di Nike nel loro complesso (e non solo i loro componenti tecnologici). Per quanto riguarda la domanda, essa stessa è attualmente in attesa di revisione da parte dell'USPTO.

Se Nike riuscisse nel proprio intento, sarebbe l’inizio di una nuova forma di strategia di branding piuttosto sorprendente.

HARD BREXIT E MARCHI COMUNITARI

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L'Ufficio Marchi e Brevetti del Regno Unito ha pubblicato alcuni chiarimenti su eventuali ripercussioni che si porrebbero verificare sui marchi comunitari registrati in caso di hard Brexit (uscita in assenza un accordo con l'UE).

L’ufficio ha precisato che il Regno Unito riconoscerà tutti i marchi comunitari registrati e li trasformerà automaticamente in marchi nazionali, previa indicazione del simbolo UK009 di fronte al numero di registrazione UE.

Se da un lato non vi sarà alcun costo per i titolari interessati, dall’altro l'ufficio brevetti non rilascerà ulteriori certificazioni di validità. Eventuali informazioni sui marchi di provenienza comunitaria saranno disponibili nel database dei marchi del Regno Unito.

In relazione alle domande pendenti dei marchi comunitari, i richiedenti avranno fino a 9 mesi per presentare domande identiche per il Regno Unito. In tal caso il richiedente godrà della priorità assicurata dalla domanda di marchio comunitario.

BANSKY (LO SCONOSCIUTO) E' UN MARCHIO REGISTRATO

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Il Tribunale di Milano si è recentemente espresso sulla tutela delle opere dell’artista di street art conosciuto con lo pseudonimo di Banksy, la cui identità è, come molti forse sapranno, ignota.

 Il procedimento è stato avviato dalla Pest Control Office Ltd che ha affermato di essere il soggetto che tutela dei diritti dell’artista, per il quale cura la vendita delle opere e la realizzazione delle mostre. Pest Control Office è inoltre titolare di alcuni marchi (“Banksy”) ma anche dei segni distintivi che rappresentano alcune delle sue opere più famose, come la bambina con il palloncino rosso e il lanciatore di fiori. Pest Control ha quindi agito in giudizio contro la 24 Ore Cultura s.r.l. lamentando la violazione dei propri diritti di marchio da parte del Sole 24 Ore che ha organizzato la mostra “The art of Banksy. A visual protest”.

 In primo luogo, il titolo della mostra, avrebbe violato i diritti di Basnky sul medesimo marchio registrato. Ugualmente la violazione sarebbe stata perpetrata tramite l’utilizzo delle immagini della bambina col palloncino rosso e del lanciatore di fiori nel materiale promozionale della mostra.

 Il Tribunale da un lato ha considerato come illecito l’utilizzo dei segni in questione sul merchandising della mostra, in quanto mero uso commerciale per la promozione di generici prodotti di consumo privi di attinenza con la mostra, e quindi non considerabile come uso descrittivo lecito del marchio altrui.

 Dall’altro, invece, ha considerato che l’utilizzo del segno Banksy e di quelli corrispondenti alle opere summenzionate nel materiale promozionale della mostra costituisce un uso lecito del marchio altrui, avendo fine meramente descrittivo della mostra stessa.

 Il Tribunale ha altresì rigettato la difesa della resistente basata sul fatto che i proprietari delle opere di Banksy esposte (alias dei multipli delle sue opere di street art da lui commercializzati) avevano espressamente concesso alla resistente anche il diritto di riprodurre tali opere.

Infatti in base alla legge sul diritto d’autore infatti, “la cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione, regolati da questa legge”. In tale contesto, precisa il Giudice, “la giurisprudenza ha già da tempo chiarito che anche la riproduzione fotografica di un’opera d’arte figurativa nel catalogo di una mostra rappresenta una forma di utilizzazione economica dell’opera pittorica e rientra nel diritto esclusivo di riproduzione riservato all’autore”.

 Nonostante quanto precede, il Tribunale ha escluso che la riproduzione non autorizzata delle opere nel catalogo costituisse anche concorrenza sleale ai danni della resistente. Tale fattispecie, infatti, richiede non solo il comportamento illecito, ma anche che questo possa effettivamente causare un danno a carico del concorrente che lamenta l’illecito.

 Accertato quindi che l’unico illecito ascrivibile alla resistente è l’uso dei marchi della ricorrente su prodotti di merchandising, il Tribunale ha inibito l’ulteriore commercializzazione degli articoli di merchandising in questione, con fissazione di penale e condanna della resistente al pagamento di parte delle spese legali sostenute dalla ricorrente.

IL FENOMENO DELLA VOLGARIZZAZIONE DEL MARCHIO OSCAR.

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Con l’avvicinarsi della cerimonia che attribuisce l’Academy Award meglio noto come “l’Oscar” può sembrare utile ricordare le vicende legate al marchio che porta il nome del noto premio cinematografico.

L’Oscar è stato assegnato per la prima volta il 16 maggio 1929 ed i suo nomignolo sarebbe stato attribuito da Margaret Herrick, impiegata all’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, che vedendo la statuetta disse: “Assomiglia proprio a mio zio Oscar!”

L’Oscar è un marchio registrato di titolarità della Academy of Motion Picture Arts and Sciences ed alcuni anni orsono ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’Associazione italiana dei Sommelier colpevole di aver istituito “l’Oscar del Vino”.

Orbene nel 2016 la corte di Cassazione ha da un lato confermato la validità del marchio Oscar con riferimento al settore dell’industria cinematografica, attribuendo di conseguenza al titolare, l’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences (AMPAS), pieni diritti al suo utilizzo esclusivo.

Dall’altro, ha dichiarato il marchio Oscar decaduto per volgarizzazione in relazione a servizi di diversa natura, nella fattispecie i servizi relativi all’istruzione ed allo spettacolo nella classe 41 della Classificazione di Nizza.

Il fenomeno della volgarizzazione si verifica quando un marchio non è più utilizzato per individuare i prodotti di un imprenditore da quelli di un altro imprenditore ma, semplicemente, per individuare il prodotto (indipendentemente da chi lo produce).

La Cassazione ha stabilito che il discrimine per determinare la volgarizzazione del marchio Oscar è il contesto in cui viene usato.

Se usato per identificare la cerimonia di premiazione il marchio Oscar è pienamente valido. Ma, usato in altri contesti, il termine assurge a parola comune che identifica un premio o un evento legato all’eccellenza. 

 

LA TUTELA DELLE FOTOGRAFIE TRA OPERE ARTISTICHE E SEMPLICI.

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Recentemente il Tribunale di Milano si è nuovamente espresso sul concetto di opera fotografica artistica e fotografia semplice.

 La vicenda trae spunto dalla presunta violazione del diritto d’autore di una fotografia denominata “Human Feelings as Drugs”, consistente nella realizzazione di fotografie, stampe e poster riproducenti fialette di medicinali di svariati colori, recanti la scritta “empathy”, “hope”, “love”, “peace” e “joy” con riportate le frasi espressive del relativo sentimento o dell’emozione. Nel

progetto, l’artista intendeva realizzare l’idea di assumere “sentimenti come medicine”, in modo da “permettere al paziente un istantaneo risveglio della percezione e un reintegro all’interno del flusso vitale delle emozioni”.

 L’attore lamentava l’illecita riproduzione da parte della convenuta di una serie di ciondoli -abbinati a collane e braccialetti – che avrebbero riprodotto le proprie fialette, con identiche denominazioni dei sentimenti, accompagnate dalle stesse frasi illustrative. Ha dunque invocato l’inibitoria, il risarcimento del danno e la pubblicazione.

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 Il Tribunale ha ribadito che In materia di opere fotografiche, il carattere artistico presuppone l’esistenza di un atto creativo in quanto espressione di un’attività intellettuale preminente rispetto alla mera tecnica materiale. La modalità di riproduzione del fotografo deve trasmettere cioè un messaggio ulteriore e diverso rispetto alla rappresentazione oggettiva cristallizzata, rendendo cioè una soggettiva interpretazione idonea a distinguere un’opera tra altre analoghe aventi il medesimo oggetto. Il requisito della creatività dell’opera fotografica sussiste ogniqualvolta l’autore non si sia limitato ad una riproduzione della realtà, ma abbia inserito nello scatto la propria fantasia, il proprio gusto, la propria sensibilità, così da trasmettere le proprie emozioni.

 In materia di opere fotografiche, la natura artistica della riproduzione non può desumersi dalla notorietà del soggetto o dell’oggetto che è ritratto, giacché il valore dell’opera artistica si apprezza in virtù di canoni di natura formale – che esprimano in modo assolutamente caratteristico ed individualizzante la personalità dell’autore – dovendo invece il relativo giudizio prescindere dall’oggetto o dal soggetto in sé riprodotto.

 Nel caso in esame il Tribunale ha escluso la natura artistica delle immagini litigiose essendo impossibile ravvisarne proprio quegli aspetti di originalità e creatività che risultano indispensabili per riconoscere la piena protezione ex art. 2 l. aut. A dire del tribunale l’attore non ha indicato precise inquadrature ovvero un'attenta selezione delle luci o ancora particolari dosaggi di toni chiari e scuri che il Collegio possa apprezzare. Non sembrano neppure qui rivenirsi quei peculiari indici che identifichino quell’impronta personale e peculiare del fotografo ovvero quella capacità di intervenire sul soggetto in modo tale da evocare suggestioni, che appunto, valgono a distinguere un’opera fotografica da una fotografia semplice.

 Il Tribunale si è inoltre soffermato sulla ulteriore violazione del diritto d’autore inteso come complessiva opera artistica escludendo il plagio della convenuta.

 A dire del collegio, la comparazione tra le due opere evidenzia decisive differenze, idonee a conferire un diverso pregio estetico, non sovrapponibile.

IL NUOVO REGOLAMENTO EU SUL GEOBLOCKING

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Il 3 dicembre 2018 è entrato in vigore il Regolamento (EU) 2018/302 recante misure volte a impedire i blocchi geografici e altre forme di discriminazione dei clienti basate sulla nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento nell’ambito del mercato interno.

Si tratta di un importante provvedimento che contribuisce alla realizzazione del Mercato Unico Digitale e che permetterà di supportare lo sviluppo del commercio elettronico transfrontaliero abbattendo blocchi geografici ingiustificati, posti in essere da alcuni fornitori di beni e servizi, che possono dare luogo a pratiche commerciali discriminatorie.

In particolare, i titolari di siti di e-commerce dovranno rimuovere eventuali blocchi, ingiustificati, fondati sulla nazionalità al fine di consentire agli utenti l'accesso al Sito; il reindirizzamento ad altro Sito dovrà essere autorizzato dall'Utente mediante il suo espresso consenso al reindirizzamento; i  form di acquisto (moduli d'ordine telematici) dovranno dare la possibilità di inoltro dell'ordine a tutti gli Utenti di un altro Stato Membro.

Inoltre, i commercianti non potranno applicare prezzi discriminatori ai consumatori:

  • nella vendita di beni che dovranno essere consegnati in uno Stato Membro in cui il commerciante offre la spedizione o che vengono ritirati in un luogo specifico concordato con il cliente;

  • nella vendita di servizi forniti elettronicamente, come il cloud computing;

  • nella vendita di servizi che i consumatori ricevono nel luogo in cui opera il commerciante, tra cui il pernottamento in un hotel, il noleggio di un’auto o la partecipazione ad un evento sportivo.

Il Regolamento non prevede un obbligo di armonizzazione i prezzi a livello comunitario e di conseguenza, i commercianti resteranno liberi di fissare i prezzi, purché in maniera non discriminatoria.

E' importante che i Consumatori e le Aziende siano consapevoli dei loro diritti, dei loro doveri e dei limiti del Regolamento, il quale intende infatti contribuire al miglioramento del mercato senza impattare o gravare sugli operatori creando condizioni di accesso eque.

IL CASO DEL MARCHIO DELLA PIZZERIA DA MICHELE

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Recentemente la sezione specializzata delle imprese del Tribunale di Napoli si è dovuta occupare del caso degli eredi di Michele Condurro fondatore della Pizzeria da Michele e che vantavano diritti sul omonimo marchio d’impresa.

 Michele Condurro ha fondato la pizzeria che porta il suo nome ubicata nel popolare quartiere di Forcella nel lontano 1870 e negli anni la sua pizza è diventata tanto famosa tanto da essere citata anche da Julia Roberts nel film Eat Pray love.

 Recentemente gli eredi di Michele Condurro si sono confrontati sul diritto all’uso del marchio “Da Michele” che è diventato oggetto di contesa da parte di un ramo della famiglia che rivendicava il diritto di usarlo per l’apertura di diverse filiali in Italia e all’estero.

 Casi simili si sono verificati con il pizzaiolo Gino Sorbillo e sta accadendo anche con il marchio SaldeRiso, che vede il pluripremiato pasticcere Salvatore de Riso in causa con il fratello.

 Così dopo la registrazione della società e dei domini internet, è partita nel 2016 la causa per il riconoscimento e l’uso esclusivo del nome “Da Michele”.

 Il Tribunale ha infine sancito che il diritto esclusivo all’uso del nome su tutto il territorio nazionale e internazionale spetta agli eredi Condurro che gestiscono la pizzera Da Michele con sede a Forcella e ha imposto la rimozione di insegne, domini e attività social. La sentenza ha da ultimo riconosciuto che il nome svolge una specifica funzione individualizzante, che si è rafforzata nel tempo attraverso il mantenimento di un elevato standard qualitativo, dando luogo a un marchio forte e i diritti a usare tale marchio, ricadono su chi per primo lo ha adottato e usato.

Bitcoin: Consob blocca per la prima volta una Ico.

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Arriva il primo stop della Consob ad un ICO, l’offerta iniziale di valuta. La Ico stata lanciata dalla società di diritto inglese, Togacoin Ltd, con l'obiettivo di finanziare la realizzazione di un data center multiattività, focalizzato soprattutto sul mining di criptovalute, affiancato da "attività secondarie di hosting, sviluppo applicazioni web e rivendita di energia elettrica, che permetteranno di differenziare gli investimenti".

L'Authority ha il fondato sospetto circa la promozione di un'offerta al pubblico di prodotti finanziari in violazione delle disposizioni normative e regolamentari in materia", si legge nel Bollettino, in cui si delibera la sospensione, ai sensi del Tuf, "dell'offerta al pubblico residente in italia avente ad oggetto 'token Tga', effettuata da TogacoinLtd anche tramite il sito internet" . A finire nel mirino della Commissione è un'offerta dai rendimenti alle stelle: secondo la sezione "Revenue calculator" del sito, un investimento di 100 dollari può raggiungere i 213 dollari il primo anno, 434 dollari il secondo, per lievitare a 654 il terzo anno. Inoltre, considerato che il sito web della società e il whitepaper della Ico sono in lingua italiana, la Consob scrive che l'offerta "è rivolta al pubblico italiano" e "presenta le caratteristiche di un'offerta al pubblico di prodotti finanziari". Questa, però, secondo il Testo unico della finanza, richiede la pubblicazione del prospetto, previa comunicazione e approvazione da parte dell'Authority. Ma "in relazione all'attività posta in essere da Togacoin Ltd- si legge nel Bollettino - non risulta essere stata effettuata la preventiva comunicazione alla Consob né risulta essere stato trasmesso il prospetto informativo destinato alla pubblicazione.

IL MARCHIO DI COLORE PURPLE (RAIN).

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Pantone è una nota un'azienda statunitense che si occupa principalmente di tecnologie per la grafica, della catalogazione dei colori e della produzione del sistema di identificazione di questi ultimi.

Nell’agosto 2017 Pantone ha depositato un nuovo colore denominato “Purple One, Love Symbol #2” in omaggio allo scomparso Prince Rogers Nelson noto ai più come semplicemente “Prince” o il folletto di Minneapolis scomparso nel 2016 a soli 59 anni.

L’operazione di Pantone segue la riedizione restaurata del film Purple Rain la cui colonna sonora venne appunto composta da Prince nel 1984.

Dopo questi recenti avvenimenti, la Paisley Park Enterprises società che detiene i diritti di immagine di Prince ha depositato presso l’USPTO (l’ufficio brevetti e marchi statunitense) un marchio di colore consistente in una particolare tonalità di viola.

Forse non tutti sanno che tra i segni che possono costituire oggetto di registrazione come marchio, il Codice della Proprietà Industriale comprende anche le combinazioni o le tonalità cromatiche, ovviamente sull’imprescindibile presupposto che esse siano atte a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

Del resto, i colori e le combinazioni cromatiche sono, oramai, sempre più utilizzati dalle imprese per identificare i propri prodotti nel mercato; non è un caso che spesso si faccia riferimento al “blu” Tiffany o al “rosso” brillante delle suole delle calzature Louboutin.

Giurisprudenza e dottrina maggioritarie tendono ad escludere la registrabilità dei colori c.d. puri o tonalità di colori in sé; principio affermato, peraltro, già nel 2003 dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, nel caso “Libertel” relativo all’utilizzo del colore arancione per servizi di telecomunicazioni.

Più recentemente il Tribunale di Milano ha sancito che la registrazione di un marchio di colore specifico può essere ammessa solo ove la stessa non restringa indebitamente la disponibilità di colori per gli altri soggetti che offrano prodotti o servizi del medesimo genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

Per quanto riguarda domanda di Prince, questa verrà esaminata dall’USPTO e poi pubblicato nella nel bollettino, dando così la possibilità ad altre parti che ritengono che saranno danneggiati dalla registrazione del marchio l'opportunità di opporvisi.

 

 

 

ARBRE MAGIQUE CITA BALENCIAGA IN GIUDIZIO.

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Nuovi problemi legali per Balenciaga. La maison del gruppo Kering continua a far discutere per la scelta di ispirarsi a prodotti di consumo ‘pop’ per le sue creazioni. Dopo le versioni luxury della borsa Ikea, Balenciaga, che ha a capo la stilista Demna Gvasalia, ha proposto stavolta un portachiavi a forma di pino che sembra ispirato ai celebri diffusori di profumo per automobili Arbre Magique. Il portachiavi Balenciaga è in vendita a 195 euro nei colori azzurro, rosa, verde e nero ed è realizzato in morbida pelle di vitello, mentre il diffusore di profumo costa 1,66 euro.

L’azienda Car-Freshner Corporation and Julius Sämann Ltd, detentrice dei prodotti Arbre magique, ha così deciso di fare causa alla maison del gruppo Kiering per non aver chiesto il permesso di usare il celebre pino colorato, come invece hanno fatto altri marchi avviando una collaborazione.

Il famoso abete stilizzato è stato già adottato da altre aziende produttrici di merci differenti dai diffusori di profumo, tra cui la griffe Anya Hindmarch ma sempre in accordo con Car-Freshner Corporation and Julius Sämann Ltd.

Vogue cita in giudizia Black Vogue

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Vogue Magazine (Advance Publications Parent company di Condé Nast USA) ha recentemente citato in tribunale il brand Black Vogue per contraffazione di marchio. Advance Publications, si è rivolta al tribunale federale di New York per dare il via a una causa contro la stilista Nareasha Willis di aver riportato su alcuni dei capi da lei messi in vendita il marchio “Black Vogue” senza autorizzazione. Secondo Advance Publications, infatti, la Willis starebbe utilizzando un marchio (Black Vogue) facilmente confondibile, per nome e per grafica, con il più celebre “Vogue” di Condé Nast, rischiando così di creare un collegamento, nella realtà inesistente, tra le due realtà.

Negli scorsi mesi, la Willis avrebbe già provato a registrare il marchio, ricevendo però un rifiuto da parte dell’Us Patent and Trademark Office, in quanto confondibile con i marchi Vogue già registrati da Advance Publications.

Il Decreto di Adeguamento al GDPR

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È stato finalmente pubblicato l'atteso decreto legislativo per l'adeguamento della normativa nazionale al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).

Il Decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 - emanato in attuazione dell'articolo 13 della Legge di delegazione europea 2016-2017 (Legge 25 ottobre 2017, 163) - è volto ad armonizzare il Codice della Privacy alla normativa europea, che è divenuta pienamente operativa a partire dal 25 maggio scorso.

Il Codice della Privacy non viene completamente abrogato (come ipotizzato in una prima formulazione del decreto) ma rimane in vigore, con le modifiche volte ad armonizzarlo ai principi fissati nel Regolamento Generale sulla protezione dei dati, primo fra tutti a quello di accountability.

Il provvedimento prevede che il Garante della privacy definisca modalità semplificate di adempimento degli obblighi del titolare del trattamento per quanto riguarda le micro, piccole e medie imprese.

I provvedimenti del Garante della privacy continuano ad applicarsi, in quanto compatibili con il GDPR e con lo stesso decreto.

Per i primi otto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, il Garante della privacy dovrà tener conto, ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative e nei limiti in cui risulti compatibile con le disposizioni del GDPR, della fase di prima applicazione delle disposizioni sanzionatorie.

DIFFAMAZIONE TRAMITE INTERNET. QUALI ONERI PER IL GESTORE?

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Una recente decisione del Tribunale di Roma ha stabilito che il gestore di una piattaforma informatica non è gravato da alcun onere di monitoraggio preventivo dei contenuti ivi pubblicati, ma è tenuto ad effettuare un controllo successivo in caso di segnalazione di fatto illecito da parte di un destinatario del servizio stesso.

Il Tribunale analizza il tema della configurabilità di un obbligo di rimozione dei contenuti a carico di un provider: ci si domanda, in sostanza, se, a fronte della doglianza di un utente che lamenti la lesività del contenuto di una pagina Facebook, il proprietario debba procedere senza indugio né altri accertamenti all’immediata rimozione del convenuto illegittimo. La risposta secondo la curia romana è negativa. Non sembra prospettabile alcun onere di monitoraggio preventivo dei contenuti pubblicati da parte dei gestori della stessa, posto che il solo dovere che grava su questi ultimi è quello di effettuare un controllo successivo su un determinato contenuto, a seguito di segnalazione di un fatto illecito.

Ad avviso del Tribunale di Roma, dunque, la segnalazione o diffida fa sorgere a carico del soggetto ospitante un dovere di immediata valutazione dei contenuti denunciati, ma l’obbligo di rimozione ex parte sorge solo ove appaia una manifesta ed evidente illiceità dei contenuti medesimi.

Si tratta, tutto sommato, di una decisione condivisibile, che contempera da un lato l’esigenza di responsabilizzazione del gestore del servizio online, senza però, dall’altro, gravarlo del ruolo di censore.

Il punto dopo il primo round della battaglia legale Diesel/Zara.

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Otb il gruppo fondato da Renzo Rosso che raggruppa marchi come Diesel, Maison Margiela e  Marni ha recentemente vinto un giudizio avanti al tribunale di Milano contro il gruppo Inditex che controlla il noto marchio Zara. L'azienda fondata da Renzo Rosso ha visto accogliere dal Tribunale di Milano le proprie argomentazioni sostenute nella causa avviata nel 2015 contro la società spagnola, accusata di aver riprodotto con il marchio Zara dei jeans prodotti da di Diesel e dei sandali ideati da Marni.

Nonostante il gruppo iberico sostenesse l'esistenza di differenze sostanziali tra i propri prodotti e quelli di Otb, rivendicando l'impossibilità da parte della Corte di costringere a un risarcimento dei danni in quanto azienda straniera priva di sede in Italia, i giudici hanno decretato la violazione del design registrato del modello di jeans Skinzee-sp e del design non registrato delle calzature Fussbett.

Non è la prima volta che il gruppo iberico si trova coinvolto in simili accuse. Poco più di un anno fa il label danese “Rains” specializzata in e abbigliamento da pioggia ha intentato una causa a Inditex. avanti la Corte del Commercio danese per violazione dei design e concorrenza sleale chiedendo l’immediata cessazione delle vendite di un modello asseritamente contraffatto ed il risarcimento dei danni per la perdita dei corrispondenti profitti.

Il punto sulla proposta di riforma comunitaria sul diritto d'Autore.

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L'Unione Europea sta lavorando alla riforma della direttiva sul diritto d’autore. Uno dei maggiori problemi con la nuova proposta di riforma del copyright dell'UE è l'articolo 13, che stabilisce che i siti web che accettano i contenuti degli utenti (qualsiasi cosa, dai video ai commenti online) devono avere un "filtro di caricamento" che bloccherebbe tutti i contenuti protetti da copyright che vengono caricati dagli utenti.

Secondo la proposta le aziende dovrebbero ottenere una licenza per qualsiasi contenuto protetto da copyright che viene caricato sul proprio sito dai propri utenti. In altre parole, i siti Web sarebbero responsabili per qualsiasi contenuto che i loro utenti caricano sul sito.

Alcuni sostengono che i filtri non sarebbero in grado di riconoscere "usi legali" di contenuti protetti da copyright, anche se fossero efficaci al 100% nell'identificare se un contenuto è o meno protetto da copyright. In questa categoria entrano parodie e citazioni che tipicamente fanno riferimento a contenuti leciti permessi dalla legge sul diritto d’autore.

È quindi contestato se l’uso di filtri è di per se legale o se viola i diritti fondamentali alla privacy, alla libertà di espressione, alla libertà di informazione e alla libertà di condurre un'impresa.

Un altro articolo in discussione è la cosiddetta proposta "link tax" nell'articolo 11 della direttiva sulla riforma del copyright, un'altra idea che non è solo apparentemente negativa, ma ha anche fallito in paesi come Spagna e Germania, dove è già stato tentato. Invece di indurre aziende come Google o altri editori a pagare per i link, o estratti di articoli e anteprime, queste aziende hanno semplicemente smesso di collegarsi a contenuti provenienti da Germania e Spagna.

I critici ritengono che una tassa sul link ridurrebbe in modo significativo il numero di collegamenti ipertestuali che vediamo sul web, il che significa che i siti web saranno molto meno collegati tra loro.

Questi due articoli sembrano allo stato essere i più controversi ed i critici credono che la direttiva possa avere un impatto negativo sulle società extraeuropee operanti nell'UE.

Le suole rosse di Christian Louboutin sono un marchio valido.

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Secondo una recente decisione della Corte di Giustizia, il colore rosso della suola delle scarpe Christian Louboutin è un marchio di posizione e non di mera forma e come tale costituisce un valido diritto di privativa.

Questa è la decisione adottata dalla Corte di giustizia Ue, dopo che il creatore aveva fatto causa alla società olandese Van Haren per aver venduto scarpe da donna con tacco alto e suola rossa.

L'azienda olandese, che si occupa di vendita al dettaglio di calzature, nel 2012 aveva messo in commercio calzature da donna con tacco alto e suola rossa - il modello “5th avenue by Halle Berry” - ed era stata citata in giudizio dalla Louboutin per contraffazione. La Van Haren si era difesa invocando la “nullità” del marchio Louboutin, appellandosi al fatto che «la direttiva dell'Unione sui marchi elenca diversi motivi di nullità o impedimenti alla registrazione, segnatamente, per quanto riguarda i segni costituiti esclusivamente dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto».

La sentenza c-163/16 stabilisce invece che la “tutela” della suola rossa marchio Louboutin «non verte su una forma specifica di suola di scarpa con tacco alto (che non sarebbe protetta in Europa, ndr), in quanto la descrizione di detto marchio indica espressamente che il contorno della scarpa non fa parte del marchio, ma serve unicamente a mettere in evidenza la posizione del colore rosso cui si riferisce la registrazione». La Corte ha aggiunto anche che non si può ritenere che un segno sia costituito «esclusivamente dalla forma ove l'oggetto principale di questo segno sia un colore precisato mediante un codice d'identificazione riconosciuto a livello internazionale».

Soddisfatta la casa di moda che parla di "Vittoria per la Maison Christian Louboutin", in quanto "la protezione del marchio della suola rossa di Christian Louboutin è rafforzata dalla Corte europea di giustizia". Secondo l'azienda la sentenza odierna di Lussemburgo "ha confermato che il regime legale che governa i marchi di forma non si applica al marchio della 'suola rossa' di Christian Louboutin", il quale è al contrario "un marchio di posizione, come ha sostenuto la Maison per molti anni".

GDPR. TUTTO QUELLO CHE C'E' DA SAPERE.

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Imprese ed enti pubblici sono preparati ad accogliere il nuovo regolamento sulla protezione dei dati personali?

Come forse molti sanno a partire dal 25 maggio 2018 è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri il Regolamento Ue 2016/679, noto come GDPR (General Data Protection Regulation) – relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali.

In estrema sintesi il GDPR:

  • introduce regole più chiare su informativa e consenso;
  • definisce i limiti al trattamento automatizzato dei dati personali;
  • pone le basi per l’esercizio di nuovi diritti;
  • stabilisce criteri rigorosi per il trasferimento degli stessi al di fuori dell’Ue;
  • fissa norme rigorose per i casi di data breach.

Le norme si applicano anche alle imprese situate fuori dall’Unione europea che offrono servizi o prodotti all’interno del mercato Ue. Tutte le aziende, ovunque stabilite, dovranno quindi rispettare le nuove regole. Imprese ed enti avranno più responsabilità e caso di inosservanza delle regole rischiano pesanti sanzioni.

Lo Sportello Unico

Per risolvere eventuali difficoltà è stato introdotto lo “sportello unico” (one stop shop), che semplificherà la gestione dei trattamenti e garantirà un approccio uniforme. Le imprese che operano in più Stati Ue potranno rivolgersi al Garante Privacy del Paese dove hanno la loro sede principale.

Portabilità dei dati

Nel Regolamento viene introdotto il diritto alla “portabilità” dei propri dati personali per trasferirli da un titolare del trattamentoa un altro. La norma fa eccezione nei casi i cui si tratta di dati contenuti in archivi di interesse pubblico, come ad esempio le anagrafi. In questo caso il diritto non potrà essere esercitato, così come è vietato il trasferimento di dati personaliverso Paesi extra Ue o organizzazioni internazionali che non rispondono agli standard di sicurezza in materia di tutela.

Il principio di “responsabilizzazione”

Vi sono altri importanti elementi di novità. E’, infatti, stata introdotta la responsabilizzazione dei titolari del trattamento (accountability) e un approccio che tenga in maggior considerazione i rischi che un determinato trattamento di dati personali può comportare per i diritti e le libertà degli interessati. Questo nuovo diritto faciliterà il passaggio da un provider di servizi all’altro, agevolando la creazione di nuovi servizi, in linea con la strategia del Mercato Unico Digitale.

Data breach

Il titolare del trattamento dovrà comunicare eventuali violazioni dei dati personali al Garante. Rispondere in modo efficace a un data breach richiede un approccio multidisciplinare ed integrato e una maggiore cooperazione a livello Ue. L’attuale approccio presenta numerose falle che vanno corrette. Non è semplice ma occorre farlo per non perdere l’occasione fornita dal GDPR. Il primo adempimento da porre in essere per le imprese italiane è senz’altro l’adozione del Registro dei trattamenti di dati personali, ma prima ancora che alle beghe burocratiche, l’azienda deve comprendere l’importanza e il valore dei dati, nonché agli ingenti danni economici legati a una perdita di informazione Se la violazione dei dati rappresenta una minaccia per i diritti e le libertà delle persone:

Il titolare dovrà informare in modo chiaro, semplice e immediato anche tutti gli interessati e offrire indicazioni su come intende limitare i danni;

Potrà decidere di non informare gli interessati se riterrà che la violazione non comporti un rischio elevato per i loro diritti oppure se dimostrerà di avere già adottato misure di sicurezza; oppure, infine, nell’eventualità in cui informare gli interessati potrebbe comportare uno sforzo sproporzionato al rischio. In questo ultimo caso è dovrà provvedere con una comunicazione pubblica;

L’Autorità Garante potrà comunque imporre al titolare del trattamento di informare gli interessati sulla base di una propria valutazione dei rischi correlati alla violazione commessa.

La figura del DPO (Data Protection Officer)

Non a caso è stata prevista la figura del “Responsabile della protezione dei dati” (Data ProtectionOfficer o DPO), incaricato di assicurare una gestione corretta dei dati personali nelle imprese e negli enti e individuato in funzione delle qualità professionali e della conoscenza specialistica della normativa e della prassi in materia di protezione dati.

Il Responsabile della protezione dei dati:

  • Riferisce direttamente al vertice,
  • E’indipendente, non riceve istruzioni per quanto riguarda l’esecuzione dei compiti;
  • Gli vengono attribuzione risorse umane e finanziarie adeguate alla mission.

In realtà persistono ancora troppi dubbi su cosa sia il DPO. E’ una figura rilevante, ma certamente non è il “centro” del sistema posto in essere dal GDPR, che nel nuovo ordinamento è sempre il Titolare del trattamento. Il DPO deve avere una specifica competenza “della normativa e delle prassi in materia di dati personali nonché delle norme e delle procedure amministrative che caratterizzano il settore”. È non meno importante però che abbia anche “qualità professionali adeguate alla complessità del compito da svolgere” e, specialmente con riferimento a settori delicati come quello della sanità, possa dimostrare di avere anche competenze specifiche rispetto ai tipi di trattamento posti in essere al titolare. E’ altrettanta importante l’autonomia decisionale e l’estraneità del DPO rispetto alla determinazione delle finalità e delle modalità del trattamento dei dati se si vuole restituire agli interessati quella sovranità sulla circolazione dei propri dati.

 

IL TRIBUNALE DI TORINO SULLA TUTELA DELLE BANDE COLORATE K-WAY.

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Il Tribunale di Torino si è recentemente espresso nella causa promossa da Basic Net titolare del noto brand K-Way, contro Giorgio Armani per via della commercializzazione, ad opera di quest’ultima, di prodotti recanti le note bande colorate di K-Way. 

Basic Net è titolare di un marchio comunitario registrato a colori che riproduce la famosa striscia colorata che caratterizza i capi di abbigliamento di Basic Net.  
Nella propria decisione, il Tribunale di Torino ha preliminarmente condiviso le argomentazioni svolte dal Tribunale dell’Unione Europea (“TUE”) riguardante la domanda di registrazione del marchio figurativo comunitario a strisce. In tale sede, il TUE aveva confermato il rigetto della domanda di registrazione del segno per carenza di distintività. Tuttavia, il TUE aveva verificato l’acquisizione di un carattere distintivo in seguito all’uso (c.d. “secondary meaning”) in quattro Stati dell’Unione Europea, tra cui l’Italia. 

Il Tribunale di Torino ha quindi concluso che le famose strisce colorate della K-Way costituiscono “un valido marchio di fatto, dotato di autonoma capacità distintiva anche se usato in combinazione con il marchio KWAY”.

 

Il Tribunale italiano ha poi stabilito che i prodotti da essi contraddistinti sono “quanto meno molto simili (nel senso che appartengono alla medesima linea di abbigliamento sportivo/casual) e venduti a prezzi del tutto comparabili”. Da ciò ne deriva un rischio di confusione tra il marchio dell’attrice Basic Net e la banda colorata che appare sul capo Armani.  Il rischio di confusione, secondo il Tribunale, deriva dall’uso della banda colorata, dall’impatto visivo complessivo da essa generato e dal suo posizionamento ai lati delle cerniere, nonché dal fatto che entrambi i prodotti recanti la striscia in questione siano commercializzati presso i medesimi negozi e che il loro costo sia pressoché analogo. Tali circostanze “possono infatti concretamente indurre il consumatore a ritenere che tra le due aziende siano in corso operazioni di co-branding invece insussistenti”. Infine, il Tribunale di Torino ha escluso il principio l’applicazione del c.d. imperativo di disponibilità opposto dalla convenuta Infatti tale principio “seppure opera nel senso che non può essere impedito l’uso (nel caso) di strisce su capi di abbigliamento – non copre e non consente abusi da parte dei terzi, i quali ultimi, pertanto, devono pur sempre differenziarsi attraverso distinguishing additions o altre variazioni arbitrarie, sufficienti ad elidere il rischio di confusione”.

Nel caso di specie, invece, le addizioni apposte da Armani (alias le famose aquile stilizzate e il marchio “AJ ARMANI JEANS”) non sono considerate sufficienti a differenziare il prodotto. Infatti, secondo il Tribunale, l’apposizione di un marchio notorio sul prodotto non esclude la contraffazione del marchio figurativo altrui; se così non fosse “si arriverebbe alla paradossale conseguenza di consentire ai titolari del primo di appropriarsi liberamente del secondo, con il solo accorgimento di impiegarlo in associazione con il proprio segno distintivo, molto affermato sul mercato e fortemente distintivo e riconoscibile”.  Per tutto quanto sopra, la Corte ha concluso dichiarando che il comportamento posto in essere dalla Giorgio Armani s.p.a. “costituisce atto di contraffazione ex artt. 20, c.1, lett. b) c.p.i. e 9 r.m.c., nonché atto di concorrenza sleale confusoria”. Ha dunque emesso nei confronti della società convenuta un ordine di inibitoria dall’importazione, esportazione, vendita, commercializzazione e pubblicizzazione di prodotti della classe 25 (in particolare giubbini) recanti il marchio oggetto di causa o altro marchio contenente il segno in questione esteso al territorio dell’Unione Europea e un ordine di distruzione in Italia dei prodotti contraffatti.

IL PREZZO DEL CONSENSO.

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Recentemente il Tribunale di Torino si è espresso sul tema della pubblicazione di fotografie in un sito internet senza la preventiva autorizzazione dell’autore e il riconoscendo la quantificazione del risarcimento sulla base del principio del “prezzo del consenso”.

L’autore di alcune fotografie, accortosi che le stesse comparivano all’interno di una piattaforma web, ha chiesto, in primo luogo, di essere riconosciuto titolare dei diritti di sfruttamento economico sulle stesse e, in secondo luogo, che gli fossero riconosciuti e, soprattutto, che fossero quantificati i diritti di sfruttamento economico allo stesso spettanti.

Il titolare delle fotografie chiedeva altresì che fossero riconosciuti e sanzionati anche gli atti di concorrenza sleale, nella forma della concorrenza parassitaria, posti in essere per aver, l’illegittimo utilizzatore della fotografie, contrariamente alle regole di correttezza professionale, sfruttato sistematicamente il lavoro del titolare delle stesse e per aver posto in essere attività potenzialmente idonee a privare la concorrente di quote di mercato.

Il Tribunale di Torino nel dirimere la controversia ha statuito non solo che l’illegittima pubblicazione in un sito web di fotografie altrui da parte di terzi non autorizzati costituisce violazione dei diritti di sfruttamento economico, ma anche che tale violazione debba essere sanzionata applicando il principio del “prezzo del consenso”.

Più precisamente, secondo tale criterio, la sanzione da comminare per l’illegittimo sfruttamento dei diritti d’autore deve essere quantificata sulla base della somma che il titolare dei diritti avrebbe percepito quale corrispettivo a seguito del raggiungimento di un accordo con l’utilizzatore. E la quantificazione del “prezzo del consenso” deve basarsi sul corrispettivo in precedenza richiesto dal titolare per la cessione di ogni singola fotografia, a favore di terzi soggetti.

Per quanto riguarda, invece, la richiesta di risarcimento del danno in relazione ai presunti atti di concorrenza sleale nella forma della concorrenza parassitaria, i giudici torinesi hanno stabilito che, nonostante nel caso in esame possano essere riscontrate plurime condotte contrarie ai principi della correttezza professionale, nonché dirette al sistematico sfruttamento del lavoro della titolare dei diritti di sfruttamento sulle fotografie, alcun danno patrimoniale ed extra-patrimoniale potrebbe essere riconosciuto in capo allo stesso poiché non adeguatamente provato.

LA TUTELA DELL'OPERA DI NATURA BIOGRAFICA

Si possono liberamente scrivere, pubblicare o raccontare le vite di personaggi famosi?

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Sul punto è recentemente intervenuto il Tribunale di Milano (Sezione Specializzata delle Imprese)  per dirimere un contenzioso tra due autori (Antonio Prestigiacomo e Marcello Sorgi) sulla vita del Principe Siciliano Raimondo Lanza di Trabia, l’uomo che inventò il calciomercato, che fu l’amante di Rita Hayworth e amico di Onassis.

In uno dei passaggi più interessanti, il Tribunale ha stabilito che nel caso di opere biografiche di personaggi noti, appartengono al patrimonio comune i fatti e le vicende che li hanno riguardati, che non sono, in sé, autonomamente monopolizzabili. La tutela autoriale cade invece sulle scelte formali, sulle tecniche stilistiche e redazionali, attraverso le quali l’autore li veicola.

Nel caso in esame, il Tribunale ha stabilito che il testo dell’attore Antonio Prestigiacomo, “Il Principe irrequieto. La vita di Raimondo Lanza di Trabia” gode senz’altro della tutela autoriale. E ciò sia sotto il profilo dell’originalità sia sotto il profilo della novità. Quanto all’originalità, esso si configura infatti come il risultato personale dell’armonizzazione di fatti veri, anche storici, e fatti verosimili, organizzati e rielaborati stilisticamente con una tecnica particolare. Il testo è infatti il frutto dell’alternanza, nel tessuto narrativo, di interviste articolate in domande e risposte, chiaramente individuabili per la presenza del virgolettato, compiute dall’autore a vari personaggi che hanno avuto conoscenza diretta del Principe.

Tuttavia, il Tibunale ha stabilito che premessa l’identità del protagonista e di molti eventi narrati, si evidenzia una distanza tra i due racconti, tale da ritenere che si tratti di autonome opere creative, appartenenti a diversi generi, ciascuna singolarmente tutelabile.

L’opera di Prestigiacomo non può in conclusione ritenersi plagiata da quella di Marcello Sorgi e le opere biografiche di personaggi noti, non sono però con riferimento ai fatti e alle vicende che li hanno riguardati, di per sé non monopolizzabili.