marchio tridimensionale

Dior deposita la domanda di registrazione della borsa Saddle quale marchio tridimensionale.

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A 20 anni dal lancio di un modello oramai divenuto iconico, Dior ha deposiato all’Us Patent and Trademark Office domanda per la registrazione della famosa borsa ‘Saddle’ quale marchio tridimensionale.

La Saddle bag è stata riproposta a partire dalla collezione A/I 2018-19 con l’aggiunta di nuovi dettagli, stampe e materiali all’accessorio che riprende il profilo di una sella.

Si ricorda che il marchio tridimensionale è un segno costituito dalla forma tridimensionale di un prodotto o del suo aspetto ed è disciplinato da una specifica regolamentazione, sia a livello europeo che italiano, che prevede l’esclusione della registrabilità per i segni che:

a)            sono costituiti dalla forma, o altra caratteristica, imposta dalla natura stessa del prodotto;

b)           dalla forma, o altra caratteristica, del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico;

c)            dalla forma, o altra caratteristica, che dà un valore sostanziale al prodotto.

Quanto alla prima limitazione, la ratio di tale norma è quella di voler impedire che un diritto rinnovabile, potenzialmente illimitato nel tempo, come quello del marchio, possa finire con il monopolizzare delle forme che derivano dalla forma naturale del prodotto, o che in ogni caso siano prive di capacità distintiva in quanto coincidenti con una forma standard nell’opinione dei consumatori.

In riferimento al divieto di registrare una forma funzionale, la ratio della norma è quella di tutelare il mercato evitando che un soggetto possa divenire titolare di una privativa perpetua su delle soluzioni tecniche o delle caratteristiche funzionali di un prodotto le quali, al contrario, possono essere tutelate tramite dei brevetti per invenzioni.

Infine, per quanto attiene al divieto di registrare una forma sostanziale, la norma è volta ad impedire la registrazione di una forma che, da sola, sia in grado di determinare la scelta dei consumatori. Tale caratteristica, infatti, rientra nella tutela dei brevetti per modelli privativa che, contrariamente al marchio, è temporalmente limitata.

Sul punto la giurisprudenza ha statuito che il marchio tridimensionale possa essere registrato qualora le forme per le quali si richiede la tutela abbiano una valenza funzionale, o estetica, tale da non configurare un particolare carattere di ornamento o utilità. In un caso, è stata negata la registrazione come marchio tridimensionale in quanto nel medesimo era possibile cogliere l’elemento estetico come preponderante se non addirittura esclusivo e comunque con un rilievo tale da determinare la scelta del consumatore.

Qualora Dior volesse estendere la tutela del marchio tridimensionale, anche a livello comunitario, molto probabilmente sarà questo terzo requisito lo scoglio più arduo da superare per la maison francese. Del resto vale la pena ricordare che con due sentenze del 2013, il Tribunale dell’Unione Europea negò a Bottega Veneta la registrazione come marchi comunitari tridimensionali di due diverse forme di borsetta, caratterizzate l’una dalla particolare conformazione dei manici e l’altra dall’assenza di dispositivi di chiusura. Nel caso di specie, i giudici ritennero che le forme di cui Bottega Veneta chiedeva la registrazione non assolvevano alla funzione essenziale di un marchio, ovvero quella di indicatore d’origine di un prodotto.

ARBRE MAGIQUE CITA BALENCIAGA IN GIUDIZIO.

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Nuovi problemi legali per Balenciaga. La maison del gruppo Kering continua a far discutere per la scelta di ispirarsi a prodotti di consumo ‘pop’ per le sue creazioni. Dopo le versioni luxury della borsa Ikea, Balenciaga, che ha a capo la stilista Demna Gvasalia, ha proposto stavolta un portachiavi a forma di pino che sembra ispirato ai celebri diffusori di profumo per automobili Arbre Magique. Il portachiavi Balenciaga è in vendita a 195 euro nei colori azzurro, rosa, verde e nero ed è realizzato in morbida pelle di vitello, mentre il diffusore di profumo costa 1,66 euro.

L’azienda Car-Freshner Corporation and Julius Sämann Ltd, detentrice dei prodotti Arbre magique, ha così deciso di fare causa alla maison del gruppo Kiering per non aver chiesto il permesso di usare il celebre pino colorato, come invece hanno fatto altri marchi avviando una collaborazione.

Il famoso abete stilizzato è stato già adottato da altre aziende produttrici di merci differenti dai diffusori di profumo, tra cui la griffe Anya Hindmarch ma sempre in accordo con Car-Freshner Corporation and Julius Sämann Ltd.

L'orologio Royal Oak di Audemars Piguet non è un marchio tridimensionale.

Il Tribunale di Milano si è recentemente espresso sulla tutelabilità della forma del noto orologio “Royal Oak” creato nel 1972 dall’azienda svizzera Audermars Piguet  inizialmente protetto come marchio tridimensionale.

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L’Audemars Piguet aveva registrato come marchio internazionale figurativo la forma della relativa lunetta e lamentava la contraffazione di marchio e la concorrenza sleale per imitazione servile da parte degli orologi commercializzati dalla start-up milanese D One s.r.l.

In un primo momento il tribunale ha emesso un provvedimento inaudita altera parte inibendo la futura commercializzazione ma dopo che la D One  si è costituita in giudizio e ha esposto le proprie difese, tuttavia, il Giudice adito ha ribaltato la propria decisione iniziale e rigettato il ricorso di Audermars Piguet sulla base del fatto che “sussistono numerosi elementi di dubbio sulla validità del marchio azionato”, come testimoniato dal fatto che la sua registrazione come marchio comunitario sia stata negata dall’ufficio competente (UAMI).

In particolare, secondo il Tribunale il marchio sembra privo di capacità distintiva, ovvero della capacità di “distinguere i prodotti rispetto a quelli di un altro fabbricante e, dunque, svolgere la funzione di identificazione dell’origine imprenditoriale del prodotto”;

Sempre secondo la corte milanese il segno distintivo tridimensionale non sembra nemmeno avere acquisito capacità distintiva attraverso l’uso (c.d. “secondary meaning”), “non essendo stato documentato un utilizzo uniforme” del segno medesimo”.

Da ultimo la registrazione della forma in questione come marchio non sembra nemmeno compatibile con il dettato dell’art. 9 CPI, secondo il quale “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente … dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto”.

 In tema di concorrenza sleale, il Giudice ha ricordato che, per integrare l’illecito di concorrenza sleale ex art. 2598 co. 1 n. 1 c.c., l’imitazione servile del prodotto altrui deve “investire caratteristiche del tutto inessenziali rispetto alla funzione che sono destinate ad assolvere”, ovvero quelle caratteristiche “arbitrarie e capricciose” e “nuove rispetto al già noto” che conferiscono originalità al prodotto e hanno capacità distintiva, così che il pubblico è portato a ricondurle all’impresa da cui il prodotto origina: solo quando riguarda queste caratteristiche, l’imitazione servile investe “elementi idonei ad ingenerare confusione nel pubblico” e integra quindi concorrenza sleale confusoria.

Nel caso di specie, il Giudice non ha ravvisato la sussistenza di una simile imitazione, affermando sostanzialmente – sulla scorta di quanto rilevato in punto di contraffazione di marchio – che le forme imitate sarebbero “strutturali del prodotto e non distintive”, nonché in alcuni casi “ormai acquisite al gusto collettivo, avendo subito una certa standardizzazione”, e che comunque vi sarebbero “significative differenze” tra i due prodotti.