I siti sono responsabili per i commenti dei lettori?

Il gestore di un sito, anche non professionale, è responsabile dei commenti dei lettori, anche di quelli non anonimi, e rischia quindi una condanna per diffamazione. È quanto stabilito, per la prima volta, da una sentenza pubblicata nei giorni scorsi dalla Corte di Cassazione. Il diffamato è Carlo Tavecchio, presidente della Figc (Federazione italiana gioco calcio), per un commento pubblicato nel 2009 sul sito Agenziacalcio.it, che per questa vicenda è stato anche oscurato. L'autore del commento, inserito autonomamente, definiva Tavecchio "emerito farabutto" e "pregiudicato doc", allegando il certificato penale. In primo grado il gestore è stato assolto, in secondo grado condannato e ora la Cassazione conferma: dovrà pagare 60 mila euro a Tavecchio, per "concorso in diffamazione". Per la Cassazione c'è concorso perché il gestore doveva sapere dell'esistenza di quel commento, poiché il suo autore gli aveva mandato una mail contenente il certificato penale di Tavecchio. L'imputato invece sostiene di aver saputo del commento diffamatorio solo quando la polizia gli ha notificato il sequestro del sito.

La sentenza colpisce anche perché la giurisprudenza sembrava finora orientarsi in modo diverso: la Corte di Giustizia europea ritiene non responsabili i gestori anche per commenti anonimi. A novembre scorso è stato assolto in appello Massimiliano Tonelli, fondatore del sito Cartellopoli (sul degrado di Roma). In primo grado era stato condannato a nove mesi di carcere per istigazione a delinquere in merito ad alcuni commenti anonimi. Sembrava ormai tramontata la precedente linea interpretativa, che aveva invece portato alla condanna nel 2014 al gestore di Nuovocadore.it. Invece adesso la Cassazione entra nel merito per la prima volta e sentenzia. I gestori di siti sono avvisati. Ma non solo loro, tutti gli utenti. Considerando che chiunque sul web può gestire un sito o un altro spazio web, con i suoi (a volte pericolosi) commenti.

Apple perde la battaglia per la protezione del marchio Apple Watch in Cina.

Apple ha perso per la seconda volta il ricorso per la registrazione in Cina del marchio Apple Watch di sua proprietà. Secondo una massima del Tribunale per la Proprietà Intellettuale di Pechino, il Design in risulterebbe eccessivamente generica come schermata iniziale per godere di tutela nel territorio, in quanto comune a molti smartphone e orologi. 

Nel respingere la prima istanza di appello rivolta dalla Apple all'organo cinese per la Proprietà Intellettuale, il Tribunale di Pechino aveva dichiarato che il marchio depositato dal colosso americano della tecnologia risultava essere “troppo complesso”, e difettava delle caratteristiche fondamentali di un marchio. Come potete sapere, affinché  "una parola, un nome, un simbolo o un disegno (inclusi loghi, colori, suoni, configurazioni dei prodotti, ecc), o una combinazione di questi" possa essere registrato come marchio d’azienda è necessario che venga utilizzato in commercio per identificare e contraddistinguere i prodotti di uno specifico brand, da quelli di altri competitors. Il Tribunale ha stabilito che il marchio Apple Watch, piuttosto che ingenerare nel pubblico la credenza l’orologio in questione fosse di proprietà della Apple Inc., è più probabile che appaia al consumatore medio semplicemente come una rappresentazione della schermata iniziale di un qualsiasi smart watch.

La prima richiesta di registrazione nel territorio cinese è avvenuta nel novembre del 2014, quando Apple ha depositato quattro marchi, di cui il marchio figurativo “Apple Watch” e tre dei relativi accessori Apple. Nel marzo di quest’anno, il Comitato di Valutazione Marchi della Direzione Generale per l'Industria e il Commercio in Cina ha respinto le richieste di Apple, affermando che i design proposti sono manifestamente complessi e difettavano delle caratteristiche necessarie affinché questi venissero registrati come marchi. Apple ha impugnato la sentenza di fronte al Tribunale per la Proprietà Intellettuale di Pechino, sostenendo che i marchi Apple di cui si richiede la registrazione sono stati ampiamente utilizzati e pubblicizzati sulla schermata iniziale degli Orologi Apple Watch, tanto da ottenere una forte rinomanza nel pubblico che permette al consumatore medio di distinguere immediatamente i prodotti di proprietà della Apple Inc., da quelli di altri brand.


In breve: Apple ha proposto come difesa il fatto che, nonostante il marchio proposto non sia intrinsecamente distintivo (o in grado - al primo utilizzo - di comunicare al consumatore che il marchio identifica l'origine invece che descrivere il prodotto stesso), il marchio Apple Watch ha acquisito un significato secondario nella mente dei consumatori, e di conseguenza, dovrebbe essere oggetto di protezione.

 

Come cambierà l'industria legale con l'arrivo di Blockchain?

Blockchain è un libro mastro accessibile al pubblico che può essere utilizzato per tutto ciò che venga normalmente salvato su un database o programma di calcolo.

In sostanza, Blockchain è un programma a partire dal quale è possibile costruire un sistema di contabilità. Un network chiamato Ethereum, descritto come “una piattaforma virtuale decentralizzata che esegue contratti peer-to-peer” sta ottenendo sempre più successo con i suoi cosiddetti Smart Contracts (Contratti Intelligenti).

Contratti

Blockchain può modificare il mondo dei contratti legali. Quello che rende Blockchain così innovativo è che non solo può registrare dati lasciandoli immutati, ma può anche creare una vera e propria elaborazione sugli stessi.

Per esempio, io potrei redigere un contratto che stabilisca che quando il mio brevetto sarà approvato dall’Ufficio Marchi e Brevetti (UIBM), i miei soci riceveranno una quota del 10% nella mia azienda. Come funziona? Una volta che il contratto verrà registrato sul Blockchain, questo controllerà se il brevetto è stato registrato, ed in caso innescherà un meccanismo che distribuisca le quote ai soci.

Tutto ciò verrebbe automatizzato e accadrebbe al di fuori dell’intervento di un legale. Infatti, si arriverebbe ad un livello tale per cui, una volta vincolato ad un sistema di pagamenti, le quote percentuali da versare verrebbero automaticamente versate ai soci non appena si avrà notizia della registrazione del brevetto.

Proprietà intellettuale

Se il Blockchain è pronto per qualcosa, questa è la proprietà intellettuale. Tale tecnologia crea un infatti un vero e proprio libro mastro accessibile al pubblico e adatto per ogni tipo di file che può portare benefici a livello globale.

Tali informazioni offrono chiari diritti di utilizzo per tutti. Si potrebbe anche richiedere di registrare un marchio tramite questo sistema. Sfruttando un algoritmo che identifica qualsiasi possibile somiglianza con altri marchi, il sistema potrebbe quindi concedere o respingere tale richiesta. Tutto ciò diventerebbe a portata di tutti.

Diritti Immobiliari

La ricchezza è data dalla proprietà, e uno degli aspetti più complessi in ambito di sviluppo degli Stati è determinare i proprietari di ciascun territorio. I conflitti spesso accadono perché governi o individui corrotti si approfittano di chi è più in difficoltà.

Avere un libro mastro accessibile al pubblico permetterebbe a chiunque di sapere chi è proprietario di cosa; e questo renderebbe lo scambio di tali terreni molto più semplice ed equo.

Se una famiglia decidesse di comprare un pezzo di terra che possa essere legalmente registrato su Blockchain, il controllo sullo stesso sarebbe molto più semplice da verificare che, per esempio, su registri statali.

Alcuni paesi dell’America del Sud stanno cominciando a usare Blockchain per tenere traccia di chi possiede determinate parti di territorio.

Raccolta dati

Alcuni paesi africani stanno cominciando a usare la tecnologia Blockchain per avere informazioni sul censimento. Il censimento sulle votazioni potrebbe essere aggiunto a tale sistema per avere un registro centrale dei cittadini votanti. In queste aree, che sono per lo più sottosviluppate, Blockchain potrebbe portare un’enorme crescita.

Servizi finanziari

Anche l’industria bancaria si sta lanciando in questa nuova piattaforma. L’idea è che le nostre azioni diventino compatibili con il sistema Blockchain. Semplicemente, ogni azione comprata o venduta verrà registrata sul libro mastro. Ciascuno potrà tener traccia del proprio portafoglio di azioni e addirittura collegarlo ai propri documenti di gestione delle proprietà

Una volta estrapolati, tali documenti potranno essere salvati sul Blockchain fino a quando si vuole (eventualmente anche fino al proprio decesso). Infine, tali documenti potranno essere affidati ai propri successori.

 

 

Da Klein a Kapoor. Gli artisti ed i diritti di privati sui colori.

Anish Kapoor ha recentemente annunciato di aver acquistato il diritto di esclusiva d'uso del Vantablack, un particolare pigmento di nero così scuro da assorbire il 99,96% della luce. 

Il Vantablack è una sostanza prodotta dalla Surrey Nano Systems, sviluppata e brevettata dalla Nasa a scopi militari che facilita il travestimento dei satelliti.  La vernice si caratterizza per il fatto di essere in grado di assorbire tanto da impedire all’occhio umano di rilevare il tipo di ombre che aiutano il cervello a interpretare la forma di un oggetto: un pezzo spiegazzato di carta stagnola coperto con uno strato di vernice appare quasi completamente piatto.

Da tempo Kapoor ha cominciato a fare esperimenti con il Vantablack mettendosi in contatto con la società britannica Surrey Nano Systems, la prima a essere in grado di produrre il pigmento in serie. 

Questa però non è la prima volta che un artista rivendica un legame unico con un particolare colore. Nel 1960, l’artista francese Yves Klein brevettò International Klein Blue (IKB), una particolare tonalità di blu, che aveva sviluppato con un produttore di vernici di Parigi e utilizzato in una serie di dipinti monocromi. Klein morì nel 1962, ma IKB continua a esistere e a essere utilizzato anche oggi.

 A pensare  male il diritto di esclusiva potrebbe essere una strategia di marketing della società Surrey Nano Systems: associare il proprio materiale a uno dei più grandi artisti contemporanei. Oppure si tratta della riproposizione di un fenomeno già noto nella storia, che lega l’uso del colore quasi indissolubilmente alla capacità di spesa dell’artista. 

Mc Donald's accusata di violazione del Copyright dai Writers Americani.

Con il lancio del restyling  dei suoi ristoranti, Mc Donald’s sta cercando da un lato di avvicinarsi sempre di più ad un pubblico più giovane e dall’altro di difendersi dalla produzione indiscriminata di graffiti parodistici che diffamano l’immagine della nota azienda americana.

Con un clamoroso effetto boomerang, l’azienda americana però ha attirato soprattutto una serie di cause per violazione dei diritti da parte di graffitari che accusano la catena di fast food di averli copiati. L’ultima in ordine di tempo è quella depositata al tribunale federale di Los Angeles da Jean Berreau, ex compagna del writer Dash Snow e ora amministratrice dei suoi beni.

«Niente è più antitetico rispetto alla sua reputazione di strada da outsider del consumismo delle grandi aziende, di cui McDonald’s e il suo marketing sono la personificazione», si legge nella denuncia. Snow, che in realtà era il discendente di una famiglia di aristocratici e industriali di origine francesi.

Non è la prima volta che le nuove decorazioni vengono accusate di aver violato il copyright: lo scorso 25 marzo un altro writer, Norm, ha citato in giudizio l’azienda accusandola di aver replicato un suo celebre graffito realizzato a Brooklyn, in Bartlett Street («Norm sulla scala antincendio di Bartlett»). Norm, a differenza di Snow, non è contrario a un uso commerciale del suo lavoro, e ha lavorato spesso con grandi marchi. Nella denuncia afferma però che McDonald’s ha «deciso consapevolmente di rivestire i muri dei suoi ristoranti in giro per il mondo con il nome di Norm, la sua arte, firma, marchio commerciale» e ha «installato e continui a installare, senza permessi, copie non autorizzate, foto e / raffigurazioni del lavoro come rivestimento in decine di ristornati in Europa e Asia». Neanche un mese dopo il writer, che lavora prevalentemente a Los Angeles, ha rinunciato alla causa rifiutando ogni commento sulla vicenda: non è noto se abbia raggiunto un accordo di qualche tipo con la catena.

Il caso Elena Ferrante tra diritto all'anonimato e Privacy.

“Io non odio affatto le bugie, nella vita le trovo salutari e vi ricorro quando capita per schermare la mia persona”. 

Così scrive nell'opera autobiografica intitolata La Frantumaglia, la celebre e misteriosa Elena Ferrante di cui oggi – pare - sia stata svelata l’identità. 

L’autrice dei libri divenuti best seller è, secondo la recente inchiesta del Sole 24Ore, Anita Raja, traduttrice nata a Napoli e residente a Roma, la cui madre era un’ebrea polacca sfuggita all’Olocausto. Il giallo sulla verità di Elena Ferrante sarebbe dunque stato risolto, realizzando così il (legittimo?) desiderio di milioni di lettori che da anni vogliono conoscere il nome e la persona che si cela dietro il famoso pseudonimo.

Ci si domanda in primo luogo se l’inchiesta abbia  violato il diritto allo pseudonimo. Questo infatti oltre ad essere, al pari del nome, può essere utilizzato come strumento per occultare la propria vera identità, e quindi come espressione del diritto alla riservatezza. 

Secondo il dettato del codice civile, lo pseudonimo è un nome diverso da quello attribuito per legge; può però essere tutelato alla pari del diritto al nome purché abbia acquistato l'importanza del nome stesso, od assolva alla stessa funzione di identificazione sociale Qualora vi sia un tale presupposto (si pensi agli pseudonimi degli scrittori, o degli attori che ricorrano a nomi d'arte pressoché più noti del nome proprio) il soggetto che lo usi potrà far valere l'azione inibitoria contro l'uso indebito, chiedendo al giudice la cessazione dell'utilizzo illegittimo dello pseudonimo, sempre salvo il risarcimento dei danni.

Ma questo non sembra essere il caso. Infatti l’inchiesta giornalistica de Il Sole 24 Ore, più che mettere in atto una appropriazione dello pseudonimo della famosa scrittrice, sembra aver violato il diritto della stessa all’anonimato. 

Nell'ordinamento giuridico Italiano non esiste, tuttavia, un diritto generale di anonimato.  

Potrebbe mai Elena Ferrante, la quale ha sempre detto di non voler far conoscere la sua vera identità invocare una più generica violazione della Privacy?; diritto che, come è noto, viene sempre più spesso negato ai personaggi pubblici.

Prima della  entrata in vigore della Legge sulla privacy, la fonte del c.d. right to be left alone era costituita da una sentenza della Corte di Cassazione del 1975, che identificava tale diritto nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi pubblici preminenti. 


Col tempo la Giurisprudenza aveva precisato che  chi sceglieva la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presumeva rinunciare a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlato alla sua dimensione pubblica.

La linea di demarcazione tra il diritto alla riservatezza e il diritto all'informazione di terzi sembrava quindi essere la popolarità del soggetto. Tuttavia, anche soggetti molto popolari conservano tale diritto, limitatamente a fatti che non hanno niente a che vedere con i motivi della propria popolarità.

Il rapporto fra diritto di cronaca e privacy è molto complesso ed è regolato da una serie di norme, stratificatesi nel tempo, che hanno cercato di stabilire un corretto compromesso fra i diversi interessi messi in campo.

Ci sono norme volte a proteggere la privacy dei cittadini alle quali i giornalisti devono attenersi durante l'adempimento del proprio lavoro.

La legge n.675 del 1996 sulla protezione dei dati personali, confluita poi nel “Codice in materia di protezione dei dati personali” (d.lgs. n.196 del 30 giugno 2003), ha dato vita ad un articolato sistema di bilanciamento dei diritti contrapposti attraverso la previsione di una pluralità di mezzi giuridici: criteri per il bilanciamento, procedure per realizzarlo, strumenti giurisdizionali.

Il quadro normativo attuale prevede un meccanismo di garanzia diversamente articolato a seconda della natura dei dati.

Ricordiamo, brevemente, che l’utilizzazione dei dati personali è possibile qualora vengano rispettate tre condizioni:

-    l’utilizzazione deve avvenire nell’esercizio di un’attività riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero;
-    i dati personali debbono essere relativi a fatti di interesse pubblico;
-    la diffusione deve avvenire “entro limiti essenziali”, cioè non deve eccedere l’intento informativo, inserendo informazioni non strettamente necessarie.

L’inchiesta sulla vera identità di Elena Ferrante non è ancora stata né confermata né smentita con chiarezza. Se sia davvero Anita Raja è quindi ancora un mistero.

Gli effetti della Brexit sul Marchio Comunitario.

Con referendum dello scorso 23 giugno, i cittadini del Regno Unito,  hanno deciso di porre fine alla loro adesione all'UE.
Ovviamente tale decisione avrà impatto anche nel mondo della proprietà intellettuale dove il Regno Unito riveste un importante ruolo centrale nella UE. 
Il processo come è noto durerà un paio d’anni e ciò signfica che i marchi dell'Unione europea avranno ancora efficacia nel Regno Unito almeno fino a giugno 2018, forse più a lungo.
I diritti dell’Unione Europea, come i design ed i  marchi, dovrebbero terminare di avere efficacia  nel Regno Unito e forse verrà creato un meccanismo per convertire la tutela di tali diritti in diritti britannici. 
Allo stato non si possono fare veramente delle previsioni sugli effetti e sulla durata del processo. Servirà comunque del tempo per verificare la portata di questo evento che, in ogni caso, è destinato a cambiare  la geografia europea della proprietà intellettuale.

 

 

Aquazzura vs. Trump. S(c)andalo nel mondo della moda.

Aquazzura è una maison fondata nel 2011 a Firenze dal designer colombiano Edgardo Osorio che produce scarpe per donne ed ha recentemente intentato una causa per contraffazione contro Ivanka Trump e il suo licenziatario, Marc Fisher, con l'accusa di copiare il design della "Wild Thing Shoe" un best seller della società fiorentina basandosi, inter alia sulla tutela prevista dall’istituto del trade dress.

Oltre alla protezione prevista dal diritto d’autore e dal marchio, la normativa americana prevede la protezione del c.d. trade dress. Il trade dress è un istituto americano di elaborazione giurisprudenziale in quanto non previsto dal Lehman Act. Le Corti lo hanno definito come un insieme di caratteristiche di una confezione o prodotto, che possono comprendere le dimensioni, la forma, il colore, il posizionamento, l’etichetta, la grafica.

La protezione di un prodotto/servizio attraverso l’istituto del trade dress presuppone due caratteristiche che possono alternativamente sussistere:

  • capacità distintiva intrinseca (piuttosto rara);
  • capacità distintiva acquisita nel tempo grazie ad un uso intenso sul mercato.
  • il marchio è intrinsecamente distintivo se per la sua natura intrinseca è idoneo ad identificare la provenienza aziendale (caso Wal-Mart, cit. Two Pesos, Inc. v. Taco Cabana, Inc., 505 Stati Uniti 763, 768 (1992).

La causa è attualmente pendente davanti alla corte federale del Southern District of New York. 

L'uso degli hashtags ed i diritti di marchio del CIO.

Il Comitato Olimpico Americano  (USCO) sta cercando di prevenire ad alcune aziende l’utilizzo degli hashtag ufficiali, come #TeamUSA e # Rio2016 su Twitter.Nelle ultime settimane, l'USOC ha inviato alcune lettere ad aziende sponsor di atleti (che non sono sponsor ufficiali dei giochi), contestando la violazione dei diritti di marchio di proprietà del USCO per il solo fatto di far riferimento a #Rio2016.
In una di queste lettere, scritte dall’USOC, si afferma: “le aziende non possono postare commenti sui  Giochi tramite i loro account social media aziendali. Questa restrizione include l'uso di marchi di proprietà dell’USOC “# Rio2016” e “#TeamUSA”.


L'approccio (alquanto rigido) mira a proteggere sponsor - come Coca Cola, McDonald, GE, P & G, Visa e Samsung - che hanno investito rilevanti somme per farsi accreditare come sponsor ufficiali della nota manifestazione sportiva. 


Negli Stati Uniti è possibile depositare un hashtag come marchio d’impresa sin dal 2013 ma l’applicazione del diritto dei marchi a tali segni distintivi può in alcuni casi rivelarsi poco efficace  per proteggere un segno distintivo contrassegnato dal segno del “cancelletto”.


Infatti violazione di un marchio si verifica quando una parte utilizza un marchio allo scopo di confondere il pubblico in relazione all’origina di un prodotto o di un servizio commercializzato.

Tuttavia, non è detto che ogni volta che si utilizza un hashtag ciò avvenga con il preciso scopo di distinguere un prodotto o un servizio da quello di un concorrente. Infatti ciò può avvenire al solo scopo di effettuare delle dichiarazioni all’interno di un forum. Del resto in quale altro modo si può indicare che si sta parlando delle Olimpiadi di Rio del 2016 senza scrivere # Rio2016?

 

Usi Instagram?

Usi Instagram?

Instagram, così come altre applicazioni di condivisione di immagini, deve ricevere il consenso dai suoi utenti di poter legittimamente mostrare le loro immagini online, altrimenti violerebbe il loro diritto d’autore. Ovvio no? Forse, ma c’è dell’altro...

1.    L’utente garantisce una Licenza

“Instagram NON rivendica alcuna titolarità su testi, file, immagini, foto, video, suoni, opere musicali, opere d’autore, applicazioni o altri materiali (collettivamente definiti come “Contenuto”) che l’utente posta su o tramite Instagram. Mostrando o pubblicando (“postando”) qualsiasi Contenuto su Instagram, l’utente garantisce a Instagram una licenza universale, non esclusiva e libera da qualsiasi onere o diritto, di utilizzare, modificare, cancellare, aggiungere, produrre e mostrare pubblicamente, riprodurre e tradurre tale Contenuto, inclusa, senza limitazione alcuna, la distribuzione di tutto o parte del Sito in qualsiasi formato digitale tramite qualsiasi canale...”

Questo vuol dire che sei ancora il titolare delle tue fotografie? In teoria sì, ma loro possono usarle quando e come vogliono. Per il momento, usano le foto degli utenti per finalità apparentemente innocue, come post di blog e simili, cosicchè sembrerebbe vero il fatto che le possibilità che Instagram utilizzi il Contenuto degli utenti per scopi di lucro non siano così alte. Quella clausola, comunque, è ancora lì. Senza contare il fatto che se sei su Instagram, tu di fatto l’hai già accettata.

2.    A meno che il tuo account non sia impostato su “Privato”

“...solo il Contenuto non condiviso pubblicamente (“privato”) non verrà distribuito al di fuori di Instagram.”

Ottimo! Ma se invece usi Instagram per avere sempre più seguaci (“followers”)?

3.    Dichiarazione e garanzie...

“L’utente dichiara e garantisce che (i) è il titolare del Contenuto da lui postato su o tramite Instagram o comunque possiede il diritto di concedere la licenza di cui alla presente sezione, (ii) la pubblicazione e l’uso del suo Contenuto non viola diritti di privacy, pubblicità, d’autore, diritti contrattuali, di proprietà intellettuale o altri diritti di qualsiasi persona, e (iii) la pubblicazione del suo Contenuto sul Sito non costituisce violazione di alcun contratto tra lui e terzi. L’utente accetta di pagare qualsiasi royalty, tassa o altra somma di denaro dovuta a qualsiasi persona in ragione del Contenuto che pubblicizza su o tramite Instagram.”

In altre parole, non prendere alcuna foto da Internet per poi pubblicizzarla (“postarla”) su Instagram.

4.    Vuoi rileggere l’ultima frase di quella clausola? Ahia.

“L’utente accetta di pagare qualsiasi royalty, tassa o altra somma di denaro dovuta a qualsiasi persona in ragione del Contenuto che pubblicizza su o tramite Instagram.”

In altre parole, i gestori di Instagram hanno le spalle coperte. Loro non pagheranno un centesimo se sei nei guai. Questo è il motivo per il quale è meglio non essere citati in giudizio (a parte questo, per altre ovvie ragioni). Se la persona fisica o giuridica che ti cita decide di chiamare in causa anche Instagram (cosa che probabilmente farà visto che è il suo servizio che hai utilizzato), sulla base di questa clausola, potresti trovarti a pagare il tuo avvocato E l’avvocato di Instagram. Tutto ciò, in aggiunta al risarcimento dei danni che hai causato per aver infranto i diritti d’autore. Ahia? AHIA.

A parte questo... Instagram è grandioso!

The Song does not Remain the Same.

I Led Zeppelin hanno vinto la causa per plagio di "Stairway To Hevean", forse la loro canzone più celebre. Una giuria del Tribunale Federale di Los Angeles ha stabilito che gli eredi di Randy California  non  sono stati in grado di provare il plagio della canzone "Taurus" composta nel 1968 dagli Spirit. 
L'azione legale era iniziata nel 2014 e secondo gli attori, i Led Zeppelin erano a conoscenza della canzone "Taurus" che avrebbero successivamente copiato e pubblicato nel loro celebre album IV. Il brano Taurus è invece precedentemente apparso sull'album di debutto omonimo del 1968 degli Spirit.
La giuria della corte federale, pur confermando che il fatto che Jimmy Page e Robert Plant erano a conoscenza del riff del brano "Taurus" già nel 1967, ha convenuto sull'insussistenza di un plagio totale o parziale da parte della rock band britannica.

Continua la battiglia tra Soundreef e la SIAE

Con un provvedimento dello scorso 27 maggio il Tribunale di Milano ha sospeso l’esecuzione promossa dalla SIAE contro una società cliente della Soundreef rea, a dire della stessa SIAE, di aver corrisposto le royalties per la diffusione da musica d’ambiente alla collecting society inglese.  

Nel procedimento Soundreef è intervenuta per sostenere le ragioni del proprio cliente argomentando la piena legittimità dell’attività di intermediazione svolta in Italia per i diritti sulla musica diffusa all’interno di un esercizio commerciale, mentre al contrario, secondo SIAE la collecting society inglese non disponesse di alcun mandato per l’intermediazione di tali diritti.

Con il provvedimento reso il Giudice – sulla base degli atti di causa – ha ritenuto, per il momento, fondata la tesi di Soundreef ed ha pertanto respinto il ricorso della SIAE in attesa della definizione del giudizio di merito.

SIAE, secondo il Tribunale di Milano, non avrebbe, infatti, sin qui provato di disporre di alcun mandato ad intermediare i diritti d’autore sulle opere utilizzate dall’esercizio commerciale in questione e, in ogni caso, non sembrerebbe avere alcun diritto ad addebitare le penali pure richieste all’utilizzatore.

Resta da comprendere il futuro di Soundreef alla luce del recente esito del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Una volta completato il processo di uscita dall’Unione Europea, Soundreef che ha sede a Londra, non potrebbe in linea di principio più invocare la diretta applicazione della direttivaBarnier (EU 2014/26).

 

 

Come riviltalizzare un marchio decaduto.

Ultimamente è possibile notare la tendenza di alcune cui start-up che provvedono a ridepositare  marchi caduti in disuso per cercare di dare loro nuova vita. Proprio di recente il marchio della celebre  maison “Paul Poiret” è stato recentemente messo in vendita dai suoi proprietari dopo essere stato dormiente per circa 80 anni.

Nei campi della moda, dell’orologeria, dei dolciumi e del tabacco, alcune aziende hanno recentemente provato a rivitalizzare marchi caduti in disuso ma ancora presenti nell’immaginario collettivo.
Rilanciare un marchio può far risparmiare milioni di dollari in costi di marketing che possono essere utilizzati per altri investimenti. 

In realtà, esiste un vero e proprio market place per l’acquisto di vecchi marchi, ma non è sempre necessario acquistare un marchio per ottenere i diritti di privativa. 

Il primo passo per far rivivere un vecchio marchio è quello di indagare la titolarità dei diritti ed il suo uso effettivo conducendo una ricerca di anteriorità. Infatti è bene sapere che i diritti concessi da un marchio decadono se il segno distintivo  non viene utilizzato entro cinque anni dalla sua registrazione. 

Se il marchio è stato utilizzato di recente o il marchio non è ancora decaduto, si può considerare di contattare il titolare del marchio per informarsi sulla eventuale disponibilità e offerta di acquistarlo insieme con qualsiasi altra proprietà intellettuale potrebbe essere necessario portare il prodotto torna alla vita.

Se il marchio invece è decaduto, allora si potrà procedere, con le opportune cautele, al nuovo deposito.

L'uso del patronimico dopo la cessione del marchio. Il caso Fiorucci

Recentemente la Corte di Cassazione ha emesso un interessante sentenza sull’uso del patronimico come marchio, che può avere rilevanti conseguenze nel modo del design e della moda. Come è noto molti marchi in questo settore industriale s’identificano con il nome del fondatore ed al riguardo basti ricordare brand come Calvin Klein, Giorgio Armani, Valentino che in questo ultimo caso ha visto il fondatore della maison uscire dal capitale alla fine degli anni 90.

Orbene è spesso accaduto che l’uso del patronimico da parte del fondatore successivamente dalla cessione dell’azienda fosse dalla giurisprudenza considerato lecito in quanto usato in maniera puramente descrittiva del nome dello stilista e non in maniera distintiva.

Pertanto, dopo la cessione del marchio Fiorucci avvenuta nel 1990 da parte di Elio Fiorucci al gruppo giapponese Edwin International pareva pacifico che la creazione di un nuovo marchio denominato Love Therapy by Elio Fiorucci fosse assolutamente lecito in quanto riferibile ad una mera paternità stilistica.

Con la recentissima sentenza la Corte di Cassazione ha stabilito che l’uso dell’uso del patronimico, nel caso di cessione di marchio crea un agganciamento che interferisce con l’uso del segno ceduto assurgendo, il patronimico ad un marchio di fatto.

Resta da comprendere come si possa parlare di agganciamento quando tra la cessione del marchio Fiorucci avvenuta nel 1990 e il lancio del progetto Love Therapy by Elio Fiorucci sono passati oltre 13 anni ed il celebre negozio di San Babila aveva chiuso i battenti proprio nel 2003. 

International Legal Challenges facing the fashion industry. Milano, 8 giugno 2016.

Abbiamo il piacere di informarvi che Tsclex e lo studio legale statunitense Kramer Levin & Naftalis (www.kramerlevin.com), insieme con il patrocinio della Camera Italiana Buyer Moda, terranno un seminario sugli aspetti legali e alle sfide che la moda Industria sta attualmente affrontando, in particolare per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale.

Il seminario sarà composto da due pannelli. Il primo dedicato alla gestione e la protezione dei marchi, mentre il secondo è dedicato alle operazioni straordinarie nel settore della moda.

L'incontro avrà luogo nel pomeriggio dell'8 giugno ai Chiostri dell'Umanitaria, che si trova alle spalle del Tribunale, in un convento del XV secolo, e non lontano da Piazza Duomo.

Il Bolero di Ravel diventa di pubblico dominio.

Il 1 maggio 2016 una delle opere musicali più rappresentate al mondo, il Bolero di Maurice Ravel, è caduta il in pubblico dominio quasi cento anni dopo la sua prima rappresentazione a Parigi. 

Composta nel 1928 ed eseguita per la prima volta il 22 novembre dello stesso anno all’Opera Garnier, l’opera fu commissionata dalla ballerina russa Ida Rubinstein, amica e mecenate di Ravel. In quasi 90 anni l’opera è stata eseguita dalle orchestre più prestigiose del mondo, sotto la direzione dei più grandi direttori: da Toscanini, ad Abbado, da Muti a Boulez. Ha anche ispirato moltissime coreografie, la più famosa delle quali è probabilmente quella di Maurice Béjart rappresentata nel 1961.

Fino al 1994 il Bolero è rimasto al primo posto della classifica mondiale del diritto d'autore e si stima che la sola opera tra il 1960 ed oggi abbia generato oltre 50 milioni di euro di diritti d’autore. 

La notorietà dell’opera ed i lauti incassi dei relativi diritti d’autore hanno causato, alla morte del fratello di Ravel Edouard nel 1960, una lunga contesa successoria tra la massaggiatrice Edouard Ravel, Jeanne Taverne, il suo autista marito e factotum, Alexander, i pronipoti del compositore ed un direttore legale della Sacem, la collecting society francese. 

Patent Box. Quali opportunità per le imprese?

Con la Legge di Stabilità 2015, nei commi da 37 a 45 si è introdotto anche in Italia il regime opzionale del c.d. “Patent Box” che consiste nella tassazione agevolata per i redditi derivanti dall'utilizzo e/o dalla cessione di “opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da marchi, nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”.

Rispetto al Patent Box adottato negli altri paesi Europei,  il Legislatore italiano ha di fatto esteso l’applicazione del regime opzionale a tutti gli intangibles e quindi anche al know how e al software.

A chi è rivolto

Il Patent Box è rivolto a tutti i titolari di reddito d’impresa, a prescindere da forma giuridica, dimensioni e regime contabile. Possono inoltre usufruirne le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trusts, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato, a condizione di essere residenti in Paesi con i quali è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione e con i quali lo scambio di informazioni sia effettivo.

Potranno dunque fruire dell’agevolazione:

  • società di capitali;
  • società  di persone;
  • imprenditori individuali;
  • stabili organizzazioni italiane di soggetti residenti in Paesi white list.

Sono escluse le società semplici, associazioni professionali ed imprese assoggettate a procedure concorsuali

Cosa riguarda

L’agevolazione riguarda i redditi derivanti dall'utilizzo e/o dalla cessione di “opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da marchi, disegni e modelli nonché da processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili”. Il Patent Box si applica dunque a:

  • Software;
  • Brevetti concessi o in corso di concessione;
  • Marchi registrati o in corso di domanda;
  • Disegni e Modelli;
  • Know How.

Da quando decorre

Il nuovo regime opzionale si applica dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Per usufruire dell’agevolazione, efficace dal 2015, sarà necessario esercitare apposita opzione. L’opzione, esercitabile dal 2015, è irrevocabile ed è valida per 5 anni. È valevole anche ai fini IRAP.

A quanto ammonta la detassazione.

La quota di reddito e del valore della produzione (l’opzione per il regime di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall'utilizzo dei beni immateriali rileva, oltre che per la determinazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, anche ai fini IRAP) che può essere oggetto di agevolazione, è definita in base al rapporto tra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eleggibile (c.d. costi qualificati) e i costi complessivi sostenuti per produrre tale bene.

Nel D.L. approvato nel CDM del 20.01.2015 si prevede la possibilità di comprendete nei costi di attività di ricerca e sviluppo i costi di acquisto del bene immateriale agevolabile, nonché eventuali costi di ricerca relativi a contratti stipulati con società facenti parte del gruppo con un tetto massimo del 30% delle stesse.

Cosa offriamo

Il nostro studio è in grado di affiancare il fiscalista dell’azienda per le svolgere le seguenti attività allo scopo di ottenere i benefici futuri del Patent Box:

  • Redazione di pareri legali sulla valenza degli assets di IP soggetti a Patent Box;
  • Pianificazione ed impostazione del portafoglio dei propri assests di IP;
  • Registrazione di Marchi, Software ed individuazione del Know How aziendale allo scopo di rafforzare il portafoglio degli intangibiles;
  • Collaborazione con il fiscalista nel processo di Ruling. 

 

Adidas, il marchio con (due) o tre strisce.

Di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha deciso in favore di Adidas a seguito della sua opposizione alla domanda di registrazione di un marchio comunitario presentata dalla Shoe Branding Euorpe.

Shoe Branding Europe ha richiesto la registrazione di un marchio raffigurante due strisce, alla quale si è opposta la famosa azienda tedesca produttrice di scarpe.

Inizialmente l’opposizione fu rigettata sia dalla Divisione Opposizione dell’UAMI che dalla Commissione di ricorso, entrambe sostenendo che il marchio a tre strisce dell’Adidas potesse godere di tutela soltanto contro imitazioni identiche o affini e che, nel caso in esame, vi fossero differenze sufficienti per escludere un rischio di confusione per il pubblico (in particolare il numero delle strisce, l’inclinazione e la posizione). Adidas presentò con successo ricorso alla Corte Generale, la quale ritenne che la Commissione avesse sbagliato ad affermare che i marchi erano tra loro diversi e che, essendo Adidas rinomata per il marchio a tre strisce parallele, questo fosse sufficiente a determinare un rischio di confusione per il pubblico e un’ipotesi di contraffazione del marchio.

Shoe Branding ha proposto ricorso alla CGUE, la quale ha confermato per intero la decisione della Corte Generale, affermando che le differenze tra i due marchi erano di scarsa rilevanza e che “la differenza tra due e tre strisce raffigurate su una scarpa non è sufficiente ad intaccare le somiglianze derivanti dalla rappresentazione dei segni in questione e dalla loro posizione sul lato della scarpa”. La CGUE ha ritenuto che le lievi differenze tra i marchi in questione non fossero tali da attrarre l’attenzione di un consumatore medio e da influenzare l’impressione generale prodotta dai marchi, considerando la presenza sul mercato di numerose strisce inclinate sul lato della scarpa. 

Design non registrato. Un'interessante pronuncia del Tribunale di Milano.

Alla fine di febbraio, la sezione specializzata del tribunale di Milano ha reso una interessante pronuncia sulla protezione design non registrato nel campo del tessile.
La causa è stata avviata da un noto cotonificio italiano storica specializzato nella produzione di tessuti per camicie di alta gamma contro un concorrente italiano accusato di aver copiato ben 54 prototipi di tessuti originali creati dall'attore.
Il Tribunale di Milano ha rilevato che ai tessuti non registrati deve essere effettivamente concessa protezione ai sensi del regolamento CE n. 6/2002, anche considerando che il convenuto non ha nel caso di specie mai fornito prove sufficienti della mancanza di novità e del carattere individuale del design in questione.
E' utile ricordare che ad un design non registrato è concessa protezione se nuovo e se possiede un carattere individuale. Per essere nuovo, il design deve differire dai design precedenti per dettagli “irrilevanti”. 
Si considera che un disegno o modello presenti un carattere individuale se l'impressione generale che suscita nell'utilizzatore informato differisce in modo significativo dall'impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato al pubblico.
Da ultimo si segnala che il Tribunale ha anche rilevato che la condotta del convenuto ha violato le regole di concorrenza ex art 2598 c.c. in quanto la contraffazione dei modelli, sottraendo ingenti investimenti di ricerca e sviluppo dell’attore, aveva di fatto permesso al convenuto di entrare nel mercato ad un costo ridotto.