tutela dello pseudonimo

Può un’opera anonima essere tutelata come marchio d’impresa?

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Secondo una recente decisione dell’EUIPO (Ufficio per la proprietà intellettuale dell’Unione Europea, 14 settembre 2020) sembrerebbe di no: a dimostrarlo è l’accoglimento da parte dell’Ufficio della richiesta di cancellazione presentata dalla società Full Colour Black Limited contro il marchio “Flower thrower” depositato nel 2014 dalla Pest Control Office Limited, società di diritto inglese sorta fra l’altro con il preciso intento di tutelare le opere dell’artista anonimo Banksi.

Il tutto ha origine quando, nel 2014, la Pest Control Office Limited decide di registrare come marchio figurativo la celebre opera “Il lanciatore di fiori” (“Flower thrower”).

La registrazione per il marchio in questione è stata richiesta per una vastissima serie di prodotti tra cui pitture, vernici, lacche; dischi, nastri; cartoleria; fotografie; manifesti; libri; pennelli; borse, valigette, portafogli, portachiavi, prodotti tessili, abbigliamento e altri ancora.

In conformità con la sua linea di azione, Banksi ha registrato l’opera presso l’EUIPO restando nell’anonimato e servendosi pertanto della società che ne cura i diritti, la Pest Control Office Limited.

Nel 2018, tuttavia la società inglese Full Colour Black Limited attiva nel settore della produzione di cartoline e altri articoli affini, propone avanti all’EUIPO una azione di nullità del citato marchio, affermando in particolare che lo stesso sarebbe stato depositato dall’artista, per mezzo della sua società, in malafede, al solo fine di poterne limitare l’utilizzo da parte di soggetti terzi e senza per contro un reale intento di usare quel marchio sui prodotti e servizi rivendicati

Con la decisione del 14 settembre 2020, l’EUIPO ha pienamente accolto tale domanda dichiarando nullo pertanto il marchio del celebre artista.

L’EUIPO secondo un iter argomentativo lineare ha solamente negato che tale immagine, quella del “Lanciatore di Fiori” che rappresenta l’opera di Banksy, possa validamente, nel caso di specie, costituire un marchio di impresa e ciò in quanto manca all’origine il fine commerciale che deve caratterizzare il marchio, la cui finalità primaria è quella di indicatore d’origine e capacità distintiva sul mercato.

In assenza di tali finalità, pertanto, deve ritenersi nulla la domanda di marchio per mala fede, il che secondo quanto stabilito dal Regolamento comunitario sui marchi di impresa, giustifica la cancellazione dal registro dei marchi depositati in tale forma.

Attenzione: ciò non significa affatto che con tale decisione vengano meno i diritti d’autore sull’opera (per quanto possa essere bizzarro parlare di diritto d’autore rispetto ad un’opera il cui autore è anonimo per sua scelta.

Marchio e diritto d’autore restano, come anche precisato dall’EUIPO in alcuni passaggi della Decisione, quanto meno in linea di principio, diritti di proprietà industriale / intellettuale distinti ed eventualmente cumulabili rispetto un determinato oggetto.





Il caso Elena Ferrante tra diritto all'anonimato e Privacy.

“Io non odio affatto le bugie, nella vita le trovo salutari e vi ricorro quando capita per schermare la mia persona”. 

Così scrive nell'opera autobiografica intitolata La Frantumaglia, la celebre e misteriosa Elena Ferrante di cui oggi – pare - sia stata svelata l’identità. 

L’autrice dei libri divenuti best seller è, secondo la recente inchiesta del Sole 24Ore, Anita Raja, traduttrice nata a Napoli e residente a Roma, la cui madre era un’ebrea polacca sfuggita all’Olocausto. Il giallo sulla verità di Elena Ferrante sarebbe dunque stato risolto, realizzando così il (legittimo?) desiderio di milioni di lettori che da anni vogliono conoscere il nome e la persona che si cela dietro il famoso pseudonimo.

Ci si domanda in primo luogo se l’inchiesta abbia  violato il diritto allo pseudonimo. Questo infatti oltre ad essere, al pari del nome, può essere utilizzato come strumento per occultare la propria vera identità, e quindi come espressione del diritto alla riservatezza. 

Secondo il dettato del codice civile, lo pseudonimo è un nome diverso da quello attribuito per legge; può però essere tutelato alla pari del diritto al nome purché abbia acquistato l'importanza del nome stesso, od assolva alla stessa funzione di identificazione sociale Qualora vi sia un tale presupposto (si pensi agli pseudonimi degli scrittori, o degli attori che ricorrano a nomi d'arte pressoché più noti del nome proprio) il soggetto che lo usi potrà far valere l'azione inibitoria contro l'uso indebito, chiedendo al giudice la cessazione dell'utilizzo illegittimo dello pseudonimo, sempre salvo il risarcimento dei danni.

Ma questo non sembra essere il caso. Infatti l’inchiesta giornalistica de Il Sole 24 Ore, più che mettere in atto una appropriazione dello pseudonimo della famosa scrittrice, sembra aver violato il diritto della stessa all’anonimato. 

Nell'ordinamento giuridico Italiano non esiste, tuttavia, un diritto generale di anonimato.  

Potrebbe mai Elena Ferrante, la quale ha sempre detto di non voler far conoscere la sua vera identità invocare una più generica violazione della Privacy?; diritto che, come è noto, viene sempre più spesso negato ai personaggi pubblici.

Prima della  entrata in vigore della Legge sulla privacy, la fonte del c.d. right to be left alone era costituita da una sentenza della Corte di Cassazione del 1975, che identificava tale diritto nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi pubblici preminenti. 


Col tempo la Giurisprudenza aveva precisato che  chi sceglieva la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presumeva rinunciare a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlato alla sua dimensione pubblica.

La linea di demarcazione tra il diritto alla riservatezza e il diritto all'informazione di terzi sembrava quindi essere la popolarità del soggetto. Tuttavia, anche soggetti molto popolari conservano tale diritto, limitatamente a fatti che non hanno niente a che vedere con i motivi della propria popolarità.

Il rapporto fra diritto di cronaca e privacy è molto complesso ed è regolato da una serie di norme, stratificatesi nel tempo, che hanno cercato di stabilire un corretto compromesso fra i diversi interessi messi in campo.

Ci sono norme volte a proteggere la privacy dei cittadini alle quali i giornalisti devono attenersi durante l'adempimento del proprio lavoro.

La legge n.675 del 1996 sulla protezione dei dati personali, confluita poi nel “Codice in materia di protezione dei dati personali” (d.lgs. n.196 del 30 giugno 2003), ha dato vita ad un articolato sistema di bilanciamento dei diritti contrapposti attraverso la previsione di una pluralità di mezzi giuridici: criteri per il bilanciamento, procedure per realizzarlo, strumenti giurisdizionali.

Il quadro normativo attuale prevede un meccanismo di garanzia diversamente articolato a seconda della natura dei dati.

Ricordiamo, brevemente, che l’utilizzazione dei dati personali è possibile qualora vengano rispettate tre condizioni:

-    l’utilizzazione deve avvenire nell’esercizio di un’attività riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero;
-    i dati personali debbono essere relativi a fatti di interesse pubblico;
-    la diffusione deve avvenire “entro limiti essenziali”, cioè non deve eccedere l’intento informativo, inserendo informazioni non strettamente necessarie.

L’inchiesta sulla vera identità di Elena Ferrante non è ancora stata né confermata né smentita con chiarezza. Se sia davvero Anita Raja è quindi ancora un mistero.