invenzioni dipendente

Invenzioni del lavoratore dipendente: bilanciamento tra interessi e diritti contrapposti.

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All’interno delle, sempre più, moderne realtà imprenditoriali non è raro imbattersi in dipendenti che tra conoscenze tecniche personali e potenziali abilità creative realizzino invenzioni intellettuali.

Ebbene, nei casi di produzione creativa del lavoratore dipendente, quest’ultimo deve aver chiaro - sin dall’inizio - a chi spettino i diritti di sfruttamento economico delle proprie invenzioni, sull’assunto che la paternità dell’opera ed i diritti morali sono indiscutibilmente a questi riconosciuti anche ai sensi dell’articolo 2590 c.c..

Tuttavia, la tutela del riconoscimento della paternità dell’opera in capo al lavoratore dipendente va bilanciata con la tutela dell’imprenditore datore di lavoro che, stipulando un contratto di lavoro il cui oggetto è lo svolgimento di attività inventiva, sopporta il costo ed il rischio economico che – inevitabilmente – deriva dall’alea del risultato inventivo.

Il nostro attuale ordinamento delinea una specifica distinzione tra diverse tipologie di invenzioni, mantenendo la tripartizione della normativa previgente tra invenzioni di servizio, invenzioni di azienda, invenzioni occasionali.

La disciplina delle invenzioni, che trova riferimento di carattere generale nell’articolo 2590 c.c., era inizialmente contenuta nel R.D. n. 1127/1939, oggi espressamente abrogato dal D.lgs. n. 30/2005 (d’ora in avanti c.p.i.) che analizza le tre tipologie di invenzioni all’articolo 64.

La ratio della disciplina di cui ai commi 1 e 2 e quella di cui al comma 3 dell’art. 64 c.p.i. è del tutto differente: nelle prime due ipotesi si applica il principio basilare giuslavoristico dell’appartenenza al datore di lavoro dei risultati del lavoro subordinato, mentre nella terza ipotesi si applica la regola generale in tema di invenzioni secondo la quale i diritti patrimoniali spettano all’inventore, con il solo limite del riconoscimento del diritto di opzione al datore di lavoro.

Il primo comma dell’articolo 64 c.p.i. disciplina le c.d. invenzioni di servizio e cioè quelle invenzioni alle quali il lavoratore perviene nell’esecuzione e adempimento del rapporto di lavoro in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto dell’obbligazione lavorativa e che sono a tale scopo retribuite: in questo caso la normativa prevede che la titolarità delle invenzioni appartenga in via esclusiva al datore di lavoro, e che nessun compenso aggiuntivo sia dovuto all’inventore, al quale è attribuita unicamente la paternità dell’opera. Relativamente all’elemento della retribuzione, vale la pena di specificare come la dottrina maggioritaria ritenga che al fine dell’inquadramento della fattispecie nell’ambito del primo comma dell’art. 64 si debba guardare alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, motivo per cui l’elemento caratterizzante la fattispecie dell’invenzione di servizio debba rinvenirsi nell’oggetto del contratto e non nella retribuzione .

In merito alle c.d. invenzioni d’azienda, il secondo comma dell’articolo 64 c.p.i. prevede che le stesse siano realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro ma non sia prevista una retribuzione ad hoc per l’espletamento dell’attività inventiva. In questo caso, benché i diritti di sfruttamento economico dell’invenzione permangano in capo al datore di lavoro – salvo sempre il diritto morale – il lavoratore ha diritto ad un equo premio per l’attività inventiva svolta qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segretezza. Per la determinazione dell’equo premio si tiene conto di specifici parametri quali “l’importanza dell’invenzione, le mansioni svolte e la retribuzione percepita dal lavoratore, il contributo ricevuto da quest’ultimo dall’organizzazione del datore di lavoro”.

Infine, il terzo comma dell’articolo 64 c.p.i. disciplina le c.d. invenzioni occasionali realizzate al di fuori del rapporto di lavoro ma aventi ad oggetto l’attività svolta dal datore di lavoro, casi in cui manca ogni connessione oggettiva tra mansioni ed invenzione. Diversamente dalle fattispecie precedenti, nel caso di invenzioni occasionali la titolarità dell’invenzione ed i relativi diritti patrimoniali sull’invenzione spettano al lavoratore dipendente, tuttavia il datore di lavoro ha il diritto di opzione sull’uso, esclusivo e non, o sull’acquisto del relativo brevetto. La legge consente espressamente al datore di lavoro di ottenere il brevetto già conseguito dal dipendente, ma autorevole dottrina ritiene che il datore di lavoro possa ottenere dal dipendente anche il diritto al rilascio del brevetto, nel caso in cui quest’ultimo non voglia presentare la domanda di brevetto.

A fronte dell’eventualità dell’esercizio del diritto di opzione o di acquisto da parte del datore di lavoro, il lavoratore” inventore” ha diritto ad un canone o prezzo che sia commisurato al valore dell’invenzione, al netto delle somme corrispondenti agli aiuti ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione medesima.

Nel caso di insorgenza di controversie tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, la competenza è stata sottratta al Giudice del Lavoro ed è oggi pacificamente attribuita al Giudice ordinario – Sezione Specializzata in materia di Impresa.

Si precisa che, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 64 c.p.i., ferma restando la competenza del giudice ordinario in merito all’accertamento del diritto all’equo premio (invenzioni di azienda) ed al canone o equo prezzo (invenzione occasionale), la determinazione del quantum è rimessa ad un collegio di tre arbitratori, che potrà decidere con equo apprezzamento a sensi dell’art. 1349 c.c. sull’ammontare degli stessi. Gli arbitratori saranno nominati, due da ciascuna delle parti ed il terzo o dai primi due arbitratori o – se in disaccordo – dal Presidente della Sezione specializzata competente in base al criterio del luogo in cui l’inventore svolge abitualmente le sue mansioni.