diritto del lavoro

Decreto Sostegni-bis: cosa cambia in tema di licenziamenti?

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Sostegni bis (D.L. 73/2021) si è giunti alla definizione di nuove linee guida su uno dei temi certamente più accesi e urgenti dall’inizio dell’”era Covid-19”. Il “nuovo” Decreto tiene fermo il termine del 30 giugno 2021, con una articolata rimodulazione del divieto dei licenziamenti in relazione all’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Cosa cambierà dunque a decorrere dal 1° luglio 2021?

  • Fino al 30 giugno 2021: Blocco dei licenziamenti generalizzato
  • Dal 1° luglio 2021 al 31 ottobre 2021: Blocco per aziende che beneficiano di CIGD, ASO o CISOA prevista dal Decreto Sostegni
  • Dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 Blocco dei licenziamenti per aziende che beneficiano della CIGO senza pagare i contributi addizionali

Dunque:

Sino al 30 giugno 2021 (termine generale):

  1. resta precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo, ex artt. 4, 5 e 24 L. n. 223/1991;
  2. restano sospese le procedure di licenziamento pendenti avviate in data successiva al 23 febbraio 2020;
  3. resta vietato il recesso per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966;
  4. restano sospese le procedure in corso ex articolo 7 della medesima legge (L. n. 604/1966).

Dal 1° luglio 2021 al 31 ottobre 2021 ai datori di lavoro aventi diritto a FIS e CIGD:

  1. resta precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo, ex artt. 4, 5 e 24 L. n. 223/1991;
  2. restano sospese le procedure di licenziamento pendenti avviate in data successiva al 23 febbraio 2020;
  3. resta vietato il recesso per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966;
  4. restano sospese le procedure in corso ex articolo 7 della medesima legge (L. n. 604/1966).

Dal 1° luglio 2021 al 31 dicembre 2021 ai datori di lavoro che attivano la CIGO o la CIGS, per la durata del trattamento fruito e fino al 31 dicembre 2021:

  1. resta precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo, ex artt. 4, 5 e 24 L. n. 223/1991;
  2. restano sospese le procedure di licenziamento pendenti avviate in data successiva al 23 febbraio 2020;
  3. resta vietato il recesso per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 L. n. 604/1966;
  4. restano sospese le procedure in corso ex articolo 7 della medesima legge (L. n. 604/1966).

A quanto sopra appare opportuno aggiungere che il nuovo decreto (D.L. 73/2021) in alternativa agli ammortizzatori sociali ordinari, introduce la possibilità per i datori di lavoro di accedere a 26 settimane di Cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, nel periodo tra il 26 maggio 2021 (data di entrata in vigore del decreto) ed il 31 dicembre 2021. Tuttavia, la predetta misura è riservata solo ai datori di lavoro privati (di cui all’articolo 8 comma 1, D.L. Sostegni 1) che, terminate le 13 settimane di interventi Covid, potrebbero accedere solo alla CIG ordinaria. Limiti alla fruizione di questa CIGS speciale i seguenti:

  • la riduzione media dell’orario di lavoro per i dipendenti in CIGS non potrà essere superiore all’80% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile;
  • ciascun lavoratore non potrà subire una riduzione di orario superiore al 90%, con riferimento all’intero periodo interessato dalla CIGS.

Il datore di lavoro che abbia attivato la CIGS in deroga, fino al 31 dicembre 2021, è esonerato dal versamento del contributo addizionale, così come chi accederà alla CIGO o alla CIGS dal 1° luglio 2021, successivamente al periodo di fruizione delle 13 settimane Covid. In ultima analisi, il comma 5 dell’articolo 40 del D.L. Sostegni bis prevede in ogni caso la possibilità di interrompere il rapporto di lavoro nelle seguenti ipotesi:

  1. cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione (anche parziale) dell’attività, nel caso in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa ai sensi dell’art. 2112 c.c.;
  2. vigenza di un accordo collettivo aziendale stipulato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale con il datore di lavoro che abbia ad oggetto l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro;
  3. fallimento, quando non è previsto l’esercizio provvisorio dell’impressa ovvero ne sia disposta la cessazione. Non resta che attendere l’auspicata cessazione dello “stato di emergenza” ad oggi prorogato sino al 31 luglio 2021 e la fine dell’anno per valutare possibili nuovi scenari in materia.

Invenzioni del lavoratore dipendente: bilanciamento tra interessi e diritti contrapposti.

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All’interno delle, sempre più, moderne realtà imprenditoriali non è raro imbattersi in dipendenti che tra conoscenze tecniche personali e potenziali abilità creative realizzino invenzioni intellettuali.

Ebbene, nei casi di produzione creativa del lavoratore dipendente, quest’ultimo deve aver chiaro - sin dall’inizio - a chi spettino i diritti di sfruttamento economico delle proprie invenzioni, sull’assunto che la paternità dell’opera ed i diritti morali sono indiscutibilmente a questi riconosciuti anche ai sensi dell’articolo 2590 c.c..

Tuttavia, la tutela del riconoscimento della paternità dell’opera in capo al lavoratore dipendente va bilanciata con la tutela dell’imprenditore datore di lavoro che, stipulando un contratto di lavoro il cui oggetto è lo svolgimento di attività inventiva, sopporta il costo ed il rischio economico che – inevitabilmente – deriva dall’alea del risultato inventivo.

Il nostro attuale ordinamento delinea una specifica distinzione tra diverse tipologie di invenzioni, mantenendo la tripartizione della normativa previgente tra invenzioni di servizio, invenzioni di azienda, invenzioni occasionali.

La disciplina delle invenzioni, che trova riferimento di carattere generale nell’articolo 2590 c.c., era inizialmente contenuta nel R.D. n. 1127/1939, oggi espressamente abrogato dal D.lgs. n. 30/2005 (d’ora in avanti c.p.i.) che analizza le tre tipologie di invenzioni all’articolo 64.

La ratio della disciplina di cui ai commi 1 e 2 e quella di cui al comma 3 dell’art. 64 c.p.i. è del tutto differente: nelle prime due ipotesi si applica il principio basilare giuslavoristico dell’appartenenza al datore di lavoro dei risultati del lavoro subordinato, mentre nella terza ipotesi si applica la regola generale in tema di invenzioni secondo la quale i diritti patrimoniali spettano all’inventore, con il solo limite del riconoscimento del diritto di opzione al datore di lavoro.

Il primo comma dell’articolo 64 c.p.i. disciplina le c.d. invenzioni di servizio e cioè quelle invenzioni alle quali il lavoratore perviene nell’esecuzione e adempimento del rapporto di lavoro in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto dell’obbligazione lavorativa e che sono a tale scopo retribuite: in questo caso la normativa prevede che la titolarità delle invenzioni appartenga in via esclusiva al datore di lavoro, e che nessun compenso aggiuntivo sia dovuto all’inventore, al quale è attribuita unicamente la paternità dell’opera. Relativamente all’elemento della retribuzione, vale la pena di specificare come la dottrina maggioritaria ritenga che al fine dell’inquadramento della fattispecie nell’ambito del primo comma dell’art. 64 si debba guardare alle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, motivo per cui l’elemento caratterizzante la fattispecie dell’invenzione di servizio debba rinvenirsi nell’oggetto del contratto e non nella retribuzione .

In merito alle c.d. invenzioni d’azienda, il secondo comma dell’articolo 64 c.p.i. prevede che le stesse siano realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro ma non sia prevista una retribuzione ad hoc per l’espletamento dell’attività inventiva. In questo caso, benché i diritti di sfruttamento economico dell’invenzione permangano in capo al datore di lavoro – salvo sempre il diritto morale – il lavoratore ha diritto ad un equo premio per l’attività inventiva svolta qualora il datore di lavoro o suoi aventi causa ottengano il brevetto o utilizzino l’invenzione in regime di segretezza. Per la determinazione dell’equo premio si tiene conto di specifici parametri quali “l’importanza dell’invenzione, le mansioni svolte e la retribuzione percepita dal lavoratore, il contributo ricevuto da quest’ultimo dall’organizzazione del datore di lavoro”.

Infine, il terzo comma dell’articolo 64 c.p.i. disciplina le c.d. invenzioni occasionali realizzate al di fuori del rapporto di lavoro ma aventi ad oggetto l’attività svolta dal datore di lavoro, casi in cui manca ogni connessione oggettiva tra mansioni ed invenzione. Diversamente dalle fattispecie precedenti, nel caso di invenzioni occasionali la titolarità dell’invenzione ed i relativi diritti patrimoniali sull’invenzione spettano al lavoratore dipendente, tuttavia il datore di lavoro ha il diritto di opzione sull’uso, esclusivo e non, o sull’acquisto del relativo brevetto. La legge consente espressamente al datore di lavoro di ottenere il brevetto già conseguito dal dipendente, ma autorevole dottrina ritiene che il datore di lavoro possa ottenere dal dipendente anche il diritto al rilascio del brevetto, nel caso in cui quest’ultimo non voglia presentare la domanda di brevetto.

A fronte dell’eventualità dell’esercizio del diritto di opzione o di acquisto da parte del datore di lavoro, il lavoratore” inventore” ha diritto ad un canone o prezzo che sia commisurato al valore dell’invenzione, al netto delle somme corrispondenti agli aiuti ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione medesima.

Nel caso di insorgenza di controversie tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, la competenza è stata sottratta al Giudice del Lavoro ed è oggi pacificamente attribuita al Giudice ordinario – Sezione Specializzata in materia di Impresa.

Si precisa che, ai sensi dei commi 4 e 5 dell’articolo 64 c.p.i., ferma restando la competenza del giudice ordinario in merito all’accertamento del diritto all’equo premio (invenzioni di azienda) ed al canone o equo prezzo (invenzione occasionale), la determinazione del quantum è rimessa ad un collegio di tre arbitratori, che potrà decidere con equo apprezzamento a sensi dell’art. 1349 c.c. sull’ammontare degli stessi. Gli arbitratori saranno nominati, due da ciascuna delle parti ed il terzo o dai primi due arbitratori o – se in disaccordo – dal Presidente della Sezione specializzata competente in base al criterio del luogo in cui l’inventore svolge abitualmente le sue mansioni.

Il blocco dei licenziamenti: cosa prevede la legge di bilancio 2021

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Dall’inizio della pandemia da Covid-19, le misure principali in materia di lavoro hanno riguardato il tema degli ammortizzatori sociali ed il tema dei licenziamenti. Da una lettura del quadro di sintesi sugli interventi della Legge di Bilancio per il 2021 redatto dal Senato (ID0014a (senato.it)), appare prevedibile che anche il 2021 darà largo spazio a questi due temi.

I temi sono inevitabilmente connessi in quanto proprio a fronte della concessione di un ulteriore periodo di ulteriori 12 settimane di trattamenti di integrazione salariale “per periodi intercorrenti tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di Cassa integrazione ordinaria, e tra il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 per i trattamenti di Assegno ordinario e di Cassa integrazione in deroga”, anche il divieto di licenziamenti subirà una proroga sino al 31 marzo 2021 con conseguente

  • divieto dei licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo;

  • divieto dei licenziamenti collettivi;

  • sospensione delle procedure di licenziamento in corso.

Il presupposto e la ratio della proroga del divieto di licenziamento parrebbero fondarsi proprio sulla possibilità di attivare nei confronti dei lavoratori dipendenti gli ammortizzatori sociali previsti dalla legge (CIGO, CIGS, CIGD, FIS), che consentono al lavoratore di conservare la posizione lavorativa e al datore di lavoro di essere coadiuvato dallo Stato nell’erogazione della retribuzione.

Tuttavia, nulla dice la legge in merito al caso in cui il datore di lavoro non si sia avvalso degli ammortizzatori sociali e ritenga ricorrere un giustificato motivo oggettivo di licenziamento.

Nel silenzio della legge e considerato che i due temi sono inevitabilmente collegati, si ritiene sconveniente proseguire le procedure di licenziamento in corso o attivarne altre in costanza dello stato di emergenza.

Sino ad oggi, in costanza di pandemia da Covid-19, sono stati emessi numerosi provvedimenti che espressamente vietano al datore di lavoro di attivare e/o proseguire le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo: dal Decreto Cura Italia (cfr. art 46 D.L. 18/2020), al Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020) al Decreto Rilancio 2 (ex Decreto Agosto D.L. n. 104/2020) e fino all’emissione del Decreto Ristori (D.L. n. 137/2020 del 28 ottobre 2020).

Ebbene, quindi sino al 31 marzo 2021 i datori di lavoro non potranno:

  • avviare la procedura di licenziamento collettivo previsto dalla L. n. 221/1991.

  • avviare la procedura di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604/1996.

    Ci sono, però, anche dei casi in cui il divieto non è applicabile:

  • cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;

  • fallimento, senza esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne viene disposta la cessazione;

  • accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro. Da notare che il divieto viene meno solo per i lavoratori che aderiscono all’accordo e che hanno diritto alla NASPI.

Inoltre, restano fuori dal blocco i licenziamenti per giusta causa, ma non solo: anche i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo, ivi compresi quelli di natura disciplinare, oltre ai licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di vecchiaia.

Infine, rientrano nell’esclusione:

  • i licenziamenti per la fruizione del pensionamento per quota 100;

  • i licenziamenti dovuti al superamento del periodo di comporto;

  • i licenziamenti per inidoneità;

  • i licenziamenti dei lavoratori domestici, in quanto, in tali casi, il recesso è ad nutum.

Quanto sopra è provvisoriamente contenuto nel disegno di Legge di Bilancio; non resta che attendere la fine dell’anno per verificare eventuali ulteriori e nuove misure in merito al tema del divieto dei licenziamenti.