Recentemente la sezione specializzata del Tribunale di Torino si è espressa in un caso molto interessante che ha riguardato l’applicazione della scriminante prevista in tema di esaurimento del marchio a fronte di una difesa che invocava il pericolo del c.d ambush marketing.
Le parti in causa sono state da un lato la Basicnet, leader nel settore della produzione di abbigliamento e titolare del marchio KWAY e dall’altro la FIFA e la Sony.
Basicnet si era accorta che, nel periodo dal 14 giugno al 15 luglio 2018, nel video ufficiale della canzone scelta come colonna sonora del campionato del mondo di calcio svoltosi in Russia, intitolata “LIVE IT UP” (FIFA World Cup 2018), il cantante Nicky Jam indossava un giubbotto K- WAY. Il marchio K-WAY, impresso dal produttore, era però dapprima offuscato nel video, e poi del tutto eliminato.
Il video è stato visibile per tutto il periodo di svolgimento del campionato mondiale ed al momento dell’introduzione della causa era raggiungibile sul sito web della UEFA e su varie piattaforme digitali tra cui il canale Youtube.
Il contesto della vicenda si inserisce nel contesto della promozione e sponsorizzazione del campionato del mondo di calcio, nell’ambito del quale Sony aveva avuto dalla FIFA l’incarico di realizzare e produrre fra l’altro, il brano musicale e il correlato video ufficiale del Campionato Mondiale di Calcio che si sarebbe svolto in Russia nel 2018, e, nell’ambito di tale incarico, aveva stabilito contrattualmente con il committente ogni dettaglio relativo alla produzione e realizzazione della colonna sonora, anche con riferimento alle esclusive che gli sponsor del Campionato Mondiale di Calcio si erano assicurate.
Una volta firmato il contratto con la FIFA, Sony girava il videoclip della canzone ufficiale della manifestazione interpretato dal cantante Nicky Jam. Il giorno delle riprese il cantante si era recato sul set indossando un giubbotto K-way molto particolare per la foggia ed i colori nonché per essere marchiato con un enorme logo K-Way oltre che dalla tradizionale cerniera colorata che contraddistingue i prodotti K-Way.
I responsabili Sony presenti rappresentavano subito al cantante che non sarebbe stato possibile inquadrare il giubbotto in quanto non vi era l’autorizzazione del produttore della giacca sfoggiata da Nicky Jam e che la stessa Basicnet avrebbe potuto essere accusata di ambush marketing da parte della autorità russe.
Più precisamente i responsabili della Sony rappresentarono al cantante che il giubbotto non avrebbe potuto essere inquadrato in ragione degli impegni contrattuali assunti dalla FIFA nel rispetto dei diritti di esclusiva degli sponsor ufficiali del mondiale di calcio tra cui non vi era la Basicnet.
Sony aveva inoltre rappresentato al cantante che l’utilizzo del marchio K-Way avrebbe potuto condurre a contestazioni da parte delle stesse autorità russe in ragione dell’illecito accostamento alla manifestazione di un marchio ad essa estraneo. A fronte, peraltro, del rifiuto del cantante a girare il video togliendosi il giubbotto Sony decise allora, come soluzione di ripiego, di oscurare il logo in fase di post produzione per cui una volta girato il video il logo K-Way venne cancellato elettronicamente dal giubbotto.
Il video così realizzato veniva anche caricato sul canale Youtube dell’artista.
Accortasi del fatto, Basicnet aveva richiesto a Sony e a FIFA l’immediato ritiro del video e il ripristino del marchio sul giubbotto asserendo che l’alterazione del marchio dell’attrice operata dalle convenute FIFA e Sony costituiva una violazione dei diritti di privativa del K-way a livello nazionale e comunitario, nonché integra una impostesi di concorrenza sleale
Secondo la difesa di Basicnet l’utilizzazione di un capo con apposto un marchio registrato doveva rispettare, anche nella fase post-vendita, la scelta del legislatore di tutelare il marchio registrato non solo contro il rischio di confusione quanto all’origine, ma anche contro l’erosione del valore promozionale incorporato nel segno, qualora di detto segno fosse stato fatto un uso a scopo di lucro.
Secondo parte attrice il comportamento in esame aveva determinato altresì un danno per l’immagine di prestigio dei prodotti e la rinomanza del marchio anche in considerazione del fatto che ogni manipolazione di un marchio è idonea a costituire fonte di lucro sia diretta che indiretta per chi la mette in atto. Sulla base di tali argomentazioni Basicnet chiedeva una inibizione della circolazione del video ed una liquidazione del danno in via equitativa.
Le difese delle parti convenute hanno da parte loro invocato il c.d. principio di esaurimento del marchio sostenendo che tale violazione non sarebbe sussistente laddove la cancellazione del logo sarebbe avvenuta su un prodotto appartenente al cantante e da questi indossato e non destinato, quindi, alla commercializzazione. Per questa ragione non avrebbero potuto trovare applicazione nella specie i principi di eccezione al principio di esaurimento del marchio, difettando in ogni caso l’elemento soggettivo della violazione in quanto la decisione di procedere alla cancellazione elettronica del logo sarebbe avvenuta a seguito della necessità di rispettare i protocolli per evitare la violazione dell’esclusiva riconosciuta agli sponsor dell’evento sportivo.
Inoltre le parti convenute argomentavano che gli organizzatori di tali eventi sono usuali bersagli del c.d. “ambush marketing”, ovvero di quelle attività promozionali promosse a danno degli sponsor ufficiali da parte di altri brand che non sono sponsor ufficiali e che, spesso approfittando dell’assenza di una specifica legislazione, tentano di “agganciarsi” alla manifestazione ed ottenere visibilità con un'azione di marketing non convenzionale.
La giurisprudenza di merito italiana ha già avuto modo di affermare che “ricorrono i "motivi legittimi perché il titolare del marchio si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti", come eccezione al c.d. "principio di esaurimento" in caso di rimozione del codice identificativo apposto sulle bottiglie di un prodotto (nella specie: un distillato). Ed invero, siffatta rimozione era idonea a ledere la reputazione del marchio e del suo titolare, se non altro per l'immagine di minor pregio che le bottiglie manipolate trasmettono ai consumatori, con ricadute negative, per il segno, anche sui prodotti commercializzati integri. Ne consegue che è irrilevante l'area, comunitaria o extracomunitaria, di immissione in commercio delle bottiglie in questione, dal momento che vi sono state alterazioni/manipolazioni della confezione e del prodotto” (Tribunale di Torino 12.5.2008).
Ancora si è affermato che “l'uso del marchio successivo alla prima immissione in commercio del prodotto incorporante il diritto non deve essere causa di detrimento alla reputazione e al prestigio collegati al segno distintivo, ciò costituendo motivo legittimo a che l'esaurimento del diritto non si verifichi” (Tribunale di Bologna 26.3.2010).
A parere della Corte, nel caso di specie la Sony, in sede di post produzione del video, ha pacificamente oscurato il logo K-Way posto sul giubbotto oggetto di causa che aveva indubbiamente una funzione particolarmente caratterizzante il prodotto in oggetto anche tenuto conto delle notevoli dimensioni di tale logo.
La Corte ha ritenuto chiaro che l’utilizzazione digtale del prodotto, oscurato del logo, costituisse una lesione del marchio stesso e, in particolare, della sua reputazione e del suo prestigio. Sotto tale profilo deve, quindi, ritenersi integrata la violazione degli artt. 5 Cpi e 13 Rmue, atteso che nessuna autorizzazione da parte dell’attrice, titolare dei marchi in oggetto, a tale oscuramento era stata concessa né espressamente né tacitamente.
A parere del Tribunale di Torino non può essere condiviso quanto sostenuto dalla convenuta in merito alla insussistenza dei presupposti per l’applicazione delle citate disposizioni esimenti in quanto non vi sarebbe stata alcuna immissione in commercio del giubbotto essendo lo stesso stato acquistato dal cantante ai fini del proprio personale godimento. L’eccezione non è stata ritenuta pertinente in quanto se è vero che non risulta contestata l’appartenenza del giubbotto al cantante, vero è anche che proprio con l’utilizzo di quel giubbotto e all’alterazione del marchio che lo contraddistingue che il video è stato girato e diffuso a livello mondiale, vista la risonanza dell’evento, con tutte le conseguenti ricadute commerciali a vantaggio, anche delle convenute.
Appare evidente, quindi, a parere della Corte che nel caso di specie non vi è stata alcun esaurimento del marchio atteso che il giubbotto, pur appartenendo al cantante, non è stato utilizzato a scopo di mero godimento nell’ambito della fisiologica immissione nel circuito economico ma specificamente al fine di realizzare un video destinato alla promozione di un evento di rilevanza mondiale quale il Mondiale di calcio Russia 2018.
Realizzazione e diffusione di tale video che sono avvenute proprio ad opera delle parti convenute.
Né può trovare ancora accoglimento la tesi secondo cui gli illeciti commessi difetterebbero dell’elemento soggettivo, laddove dalla stessa narrazione dei fatti operata dalla parte convenuta emerge inequivocabilmente come la stessa fosse ben consapevole del comportamento tenuto essendo l’oscuramento stato eseguito proprio dalla Sony al fine di aggirare i divieti di utilizzo di prodotti non riferibili agli sponsor ufficiali della manifestazione. Secondo il Tribunale di Torino, la posizione della parte attrice è, pertanto, da riconoscersi meritevole di tutela non sotto il profilo di un suo diritto a vedere accostato il suo marchio alla manifestazione sportiva in oggetto, diritto peraltro neppure reclamato dalla stessa attrice, bensì sotto il profilo del diritto della stessa a non vedersi alterare il logo del proprio prodotto e, conseguentemente, a non vedersene ledere il prestigio e il valore promozionale.
Sotto tale profilo, pertanto, la condotta posta in essere dalle parti convenute è da ritenersi contrastante con i principi di cui agli artt. 5 Cpi e 13 Rmue nonché di cui allo stesso art. 20 Cpi, rappresentando l’oscuramento del logo una ipotesi di contraffazione.
Il comportamento rileva, inoltre, anche sotto il profilo della concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. in quanto è pacifico che Basicnet operi anche sul mercato della promozione di video pubblicitari dei propri prodotti e la diffusione di un video contenente un prodotto Basicnet modificato senza il suo consenso in modo da alterarne la capacità distintiva rappresenta un’ipotesi di comportamento non conforme alla correttezza professionale rilevante ai sensi dell’art. 2598 co. 3 cpc.
Per l’insieme di tali ragioni, pertanto, la pretesa attorea deve essere considerata fondata.
Non vale, inoltre a parere della Corte, il richiamo alla pratica dell’ambush marketing formulato dalle parti convenute. Ricorre tale pratica “allorché una campagna di comunicazione lasci intendere contrariamente al vero che un soggetto sia sponsor di un evento” (Giurì Codice Autodisciplina Pubblicitaria 8.7.2014). La pratica dell’ambush marketing è considerata ingannevole, poiché induce in errore il consumatore medio sull’esistenza di rapporti di sponsorizzazione ovvero di affiliazione o comunque di collegamenti con i titolari di diritti di proprietà intellettuale, invece insussistenti (in tal senso Tribunale di Milano 15.12.2017) e costituisce un’ipotesi particolare di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598,3° comma, c.c. (Tribunale Milano 15.12.2017).
In particolare, la giurisprudenza ha avuto modo di specificare che “con la figura dell’ambush marketing il concorrente sleale associa abusivamente l’immagine ed il marchio di un’impresa ad un evento di particolare risonanza mediatica senza essere legato da rapporti di sponsorizzazione, licenza o simili con l’organizzazione della manifestazione. In tal guisa lo stesso si avvantaggia dell’evento senza sopportarne i costi, con conseguente indebito agganciamento all’evento ed interferenza negativa con i rapporti contrattuali tra organizzatori e soggetti autorizzati. Si tratta dunque di illecito ove i soggetti danneggiati sono l'organizzatore dell'evento, il licenziatario (o sponsor) ufficiale ed infine il pubblico.” (Tribunale Milano 15.12.2017).
Da quanto sopra esposto emerge chiaramente come nel caso di specie non possa in alcun modo ravvisarsi una pratica di ambush marketing da parte di Basicnet. Quest’ultima non ha, infatti, compiuto alcuna attività associazione del proprio marchio all’evento del Mondiale di calcio di Russia 2018 e neppure ha acconsentito a che tale associazione venisse eseguita da altri. Sono state, infatti, le convenute ad utilizzare il prodotto Basicnet alternandone il logo nel tentativo di renderlo riconoscibile al fine di evitare di incorrere nella violazione degli accordi presi con gli sponsor ufficiali e con la stessa normativa russa. Nessuna attività e conseguentemente responsabilità può essere imputata alla Basicnet in relazione all’accaduto laddove questa è venuta a conoscenza dell’accaduto solo a seguito della diffusione del video.