Pirateria

Piracy Shield e diritti fondamentali: il sistema antipirateria italiano sotto la lente dell’Unione Europea

Nel febbraio 2024 l’Italia ha introdotto un sistema di contrasto alla pirateria digitale senza precedenti nel panorama europeo: Piracy Shield. Ideato per bloccare la diffusione illecita di eventi sportivi e contenuti protetti da diritto d'autore, il sistema è gestito dall’AGCOM e si fonda su un meccanismo di blocco tempestivo degli accessi a contenuti sospetti, con un tempo di reazione inferiore ai 30 minuti.

Tuttavia, a poco più di un anno dall’entrata in vigore, la Commissione Europea ha sollevato dubbi formali sulla conformità del sistema italiano al Digital Services Act (DSA), con particolare riferimento alla tutela dei diritti fondamentali, tra cui la libertà d’espressione, la trasparenza e la protezione dei dati.

  • Cosa prevede il Piracy Shield?

Il sistema consente a titolari dei diritti (es. emittenti televisive) di segnalare in tempo reale le violazioni, ottenendo da AGCOM l’ordine di blocco per gli ISP, DNS resolver, CDN e provider VPN. Il tutto senza previa convalida giudiziaria. Il meccanismo si applica anche a IP dinamici e DNS stranieri, in modo da rendere inefficace la migrazione dei contenuti su nuovi domini.

L'obiettivo è chiaro: prevenire la trasmissione illecita di eventi live (soprattutto sportivi), dove l’efficacia della tutela si misura in ore, non in anni.

Il richiamo dell’Unione Europea

Il 13 giugno 2025, la Commissione Europea ha notificato allo Stato italiano una richiesta di chiarimenti formale, sottolineando potenziali criticità di compatibilità con il DSA, entrato in piena applicazione nel febbraio 2024.

I principali rilievi:

  • Mancanza di trasparenza: non è previsto un adeguato contraddittorio né una motivazione pubblica delle decisioni di blocco.

  • Overblocking: sono stati segnalati numerosi casi di siti leciti oscurati erroneamente, tra cui perfino servizi di Google.

  • Assenza di controllo giurisdizionale preventivo, in contrasto con l'art. 8 DSA, che richiede garanzie procedurali quando si limitano contenuti legali.

Inoltre, l’obbligo imposto ai provider di eseguire i blocchi senza un controllo autonomo potrebbe violare il principio di neutralità tecnologica e porre questioni delicate in materia di responsabilità degli intermediari.

Le conseguenze pratiche: tra disagi e proteste

Oltre ai rilievi normativi, il sistema ha già causato ripercussioni concrete:

  • Il provider VPN AirVPN ha interrotto l’erogazione dei servizi ai cittadini italiani, ritenendo impossibile operare nel rispetto dei propri standard di trasparenza e protezione dei dati.

  • Alcuni DNS resolver pubblici (Cloudflare, OpenDNS) hanno dovuto modificare le proprie policy per evitare responsabilità indirette.

Utenti comuni hanno denunciato l’impossibilità di accedere a contenuti del tutto leciti, segnalando un effetto paralizzante per l’ecosistema digitale.

Il bilanciamento tra tutela del copyright e diritti digitali

Il cuore del dibattito è giuridico e costituzionale: fino a che punto può spingersi la tutela del diritto d’autore, senza compromettere libertà fondamentali come l’accesso all’informazione, la libertà d’impresa e la protezione della privacy?

Il Digital Services Act impone un modello di moderazione trasparente e proporzionata, che presuppone:

  • valutazione umana e motivazione della decisione,

  • possibilità di ricorso da parte dell’utente,

  • pubblicazione di transparency reports da parte delle autorità.

Il Piracy Shield, nella sua attuale formulazione, sembra sacrificare tali garanzie a favore di una tutela efficiente ma sommaria del copyright.

Il confronto tra Italia e Commissione UE è solo all’inizio. Se il Governo italiano non fornirà risposte soddisfacenti, si aprirà la procedura formale d’infrazione, con possibili modifiche regolamentari o sanzioni.

Nel frattempo, il dibattito coinvolge anche le corti nazionali, dove sono già stati depositati ricorsi contro AGCOM per violazione dei diritti costituzionali, e il Parlamento, che potrebbe dover rivedere la normativa di base alla luce delle osservazioni europee.

Corte di Giustizia UE e Pirate Bay. Nuove responsabilità per le piattaforme di condivisione in Internet.

Con la recente sentenza C-527/15 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sancisce la violazione del copyright dei gestori di “The Private Bay”, portale per la condivisione di file in rete. I diritti d’autore sarebbero infranti anche se a caricare i file sono persone terze, gli utenti, poiché “gli amministratori di Pirate Bay non possono ignorare il fatto che tale piattaforma dà accesso ad opere pubblicate senza l'autorizzazione dei titolari di diritti”. 
Le argomentazioni utilizzate dai giudici della Corte per condannare Pirate Bay sono rivoluzionarie rispetto alle logiche che finora hanno consentito lo sviluppo del business di questi operatori.
 
In particolare, la Corte di Giustizia ha stabilito per prima cosa che i gestori delle piattaforme di condivisione pongono in essere, attraverso la loro attività, una forma di comunicazione al pubblico che, ai sensi dell’articolo 3 della Direttiva 2001/29/CE, deve essere autorizzata dal titolare dell’opera oggetto della comunicazione. Infatti, gli amministratori, pubblicando i contenuti caricati dagli utenti, svolgono “un ruolo imprescindibile” nella loro messa a disposizione, ad esempio indicizzando e gestendo i vari file e suddividendo in categorie le opere disponibili ed eliminando i file vecchi ed obsoleti. Infine, ha sottolineato la Corte UE nelle sue osservazioni, i siti di condivisione rispondono anche perché dalla pubblicazione di questi file si generano introiti pubblicitari considerevoli.
È evidente che questa sentenza chiama in causa tutti i gestori di piattaforme di condivisione online e fa sorgere in capo a questi una maggiore responsabilità in caso di contenuti illegali caricati dagli utenti. 

Secondo alcuni esperti, però, la sentenza avrà ripercussioni non tanto nel mondo della pirateria, quanto nel settore della condivisione di video legale e in quello dei social network. Infatti, l’aver affermato che la messa a disposizione di opere in una piattaforma di condivisione costituisce una  comunicazione al pubblico ha più effetti nei confronti delle piattaforme di condivisione gratuita, come ad esempio Youtube, che fanno parte dei cosiddetti User Generated Content (UGC) e che il più delle volte utilizzano lo strumento dello streaming, piuttosto che nei confronti della pirateria vera e propria. Il rischio è dunque quello di procedere ad una troppo semplice assimilazione dei siti UGC alla categoria degli antiquati siti di downloading di torrent come, appunto, Pirate Bay.

L’affermazione in base alla quale infatti  il gestore è responsabile qualora intervenga gestendo e filtrando attivamente determinati contenuti, sembra prefigurare una diretta e generale  responsabilità per l’immissione in rete di contenuti ad opera di terzi.
Il dibattito europeo sarà fortemente influenzato da questa decisione, anche perché proprio in questi giorni il Parlamento Europeo sta lavorando alla riforma sui copyright e la relativa responsabilità delle piattaforme online.