La gravissima emergenza sanitaria in atto comincia purtroppo ad avere gravi conseguenze sulla stabilità dei rapporti contrattuali e, in particolare in materia di locazioni commerciali, la difficoltà seppur temporanea di regolare pagamento del canone ha dato avvio ad un possibile conflitto tra locatori di immobili ed aziende conduttrici.
Sul fronte di entrambe le parti si comincia infatti ad avvertire l’esigenza di chiarezza sui rispettivi diritti e doveri nel caso, ad esempio, di richieste di modifica dei termini e delle condizioni di pagamento o di sospensione del pagamento dei canoni.
Il tema in realtà, al di là dell’inquadramento giuridico delle eventuali contestazioni che una parte può sollevare nei confronti dell’altra, secondo noi verte principalmente sull’applicazione della buona fede intesa come principio generale che governa i rapporti negoziali e come strumento attraverso il quale ripristinare autonomamente l’equilibrio contrattuale venuto meno attraverso un dialogo costruttivo tra le parti.
Disponibilità negoziale e collaborazione reciproca fra creditore e debitore nell’attuale fase storica possono infatti rivelarsi rimedi molto più incisivi - e certamente costruttivi, oltre che economici - rispetto alla formulazione di contestazioni, diffide, lettere c.d. di messa in mora ovvero rispetto all’avvio di un autonomo giudizio in sede civile. Si pensi ad esempio all’artt. 1256 codice civile che, nel disciplinare l’impossibilità della prestazione, prevede che se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Oppure, dal lato del locatore, si pensi all’esercizio di una clausola risolutiva espressa che, ove preventivamente concordata, permette allo stesso di risolvere un contratto in caso di mancato tempestivo pagamento del canone da parte del conduttore.
Al di là di oziose disquisizioni attorno all’applicazione o meno di alcuni principi civilistici in subiecta materia (i.e. factum principis/forza maggiore/eccessiva onerosità sopravvenuta etc.) e fermo restando che il Decreto “Cura Italia” ha previsto la facoltà in capo ai conduttori esercenti attività rimaste chiuse di recuperare parzialmente l’importo relativo al canone di marzo mediante il meccanismo del credito d’imposta, in concreto il corollario delle considerazioni sopra svolte consiste nell’opportunità che le parti, invece di litigare eventualmente anche di fronte al giudice con ulteriori oneri e perdite di tempo, concordino congiuntamente una sospensione convenzionale del pagamento del canone per un certo (e congruo) periodo di tempo con l’impegno, ad esempio, a carico del conduttore di rientrare dei canoni scaduti ed insoluti entro l’anno successivo tramite un piano di rientro condiviso. Un’ulteriore opzione potrebbe essere costituita da una riduzione convenzionale del canone per un periodo di tempo determinato - in questo caso coincidente con la durata della paralisi dovuta all’epidemia in atto - che permetta però al conduttore il regolare ed effettivo pagamento dei canoni senza interruzioni.
Le parti, facendosi reciproche concessioni, in un’ottica di buon senso ed in buona fede reciproca, ristabilirebbero amichevolmente e senza ulteriori spese un equilibrato assetto dei rispettivi interessi mantenendo in vigore il contratto. Le soluzioni prospettate - che possono essere molteplici e rimesse alla “capacità creativa” delle parti - si fondano evidentemente sulla disponibilità e concreta capacità delle stesse a collaborare e ad individuare una soluzione in linea alle rispettive e reciproche esigenze.
A prescindere e ferme restando le lungaggini insite in ogni giudizio, lo scenario attuale, con la sospensione dell’attività giurisdizionale recentemente prorogata sino al 15 aprile 2020, non lascia peraltro intravedere la possibilità di ottenere una tutela tempestiva delle proprie ragioni in caso di vertenze che non siano state previamente conciliate tra le parti.