Lo scorso 30 settembre si è concluso un altro importante round nella battaglia che vede opposti la maison Hermès e l’artista statunitense Mason Rothschild, controversia che ha ad oggetto la collezione di immagini digitali raffiguranti borse Birkin ricoperte di finta pelliccia, appunto intitolata “MetaBirkins'", che Rothschild ha progettato e commercializzato vendendole sotto forma di NFT.
Il caso, promosso lo scorso gennaio dalla maison francese davanti al Tribunale di New York per tutelare i propri diritti di privativa sul celeberrimo modello di borse “Birkin” e, in genere, i propri diritti di proprietà industriale contro l’illecito sfruttamento degli stessi nel metaverso, è seguito con molta attenzione da tutti i giuristi che si occupano di proprietà intellettuale poiché costituisce un autentico leading case in materia, essendo incentrato sull’interferenza tra i diritti di marchio e gli NFT e sulla determinazione della misura in cui i primi si possano estendere nel mondo virtuale.
Nell'ordinanza pubblicata lo scorso 30 settembre, il giudice Jed Rakoff della Corte Distrettuale del Distretto Sud di New York ha rigettato l'appello proposto da Mason Rothschild contro una precedente decisione di maggio con in cui la medesima Corte aveva respinto la richiesta di Rothschild di rigettare l’accusa di Hermès di aver violato i propri diritti di marchio attraverso l’ormai famoso progetto “MetaBirkins”.
Al di là dei tecnicismi processuali e di quelli anche sostanziali connessi alla protezione garantita dal primo emendamento della carta costituzionale americana, reclamata da Mason Rothschild sostenendo la rilevanza artistica delle proprie opere, è importante notare come il giudice americano abbia rilevato che, al pari delle borse Birkin di Hermés, anche le “MetaBirkin” realizzate dall’artista siano comunque prodotti di grande valore. Infatti, i relativi NFT sono stati venduti per oltre un milione di dollari e ciò, secondo il giudice americano, costituirebbe ulteriore conferma della confusione generatasi nei consumatori e nei media i quali sono stati indotti a credere che Hermès fosse in qualche modo collegata alla linea di NFT realizzata da Rothschild o che comunque vi fosse una partnership tra di essi. Questo caso è uno dei sempre più numerosi che hanno ad oggetto il web3 (come ad esempio la causa promossa da Nike contro StockX) che sia i giuristi che i titolari di marchio stanno monitorando con particolare interesse ed attenzione e di cui si dovrà inevitabilmente tenere conto nell’elaborazione delle future strategie di protezione e di deposito dei marchi. Non a caso i brand più importanti e famosi, non solo quelli più noti nel mondo della moda ma anche in altri settori, ultimamente si stanno affrettano a depositare nuove domande di marchio per il loro utilizzo nel metaverso come NFT o altri beni virtuali. Ciò anche a fronte del sempre più crescente interesse mostrato dai consumatori verso le esperienze digitali.
E’ quindi sempre più fondamentale, sia per gli operatori del mondo giuridico che per tutti coloro che mirano a espandersi nel mondo virtuale, comprendere i nuovi limiti di tutela della proprietà intellettuale non limitandosi più a monitorare il solo mondo fisico, ma anche quello digitale per mantenersi sempre al passo con i cambiamenti della tecnologia che inevitabilmente sta influenzando l’evoluzione delle norme del settore della proprietà intellettuale.