La Cassazione fa il punto sul concetto di parodia nel nostro ordinamento

Laura Bussoli - Senior Associate

Eleonora Carletti - Associate

Il 30 dicembre 2022, con sentenza n. 38165, la Corte di Cassazione si è pronunciata, fra l’altro, sulla legittimità di uno spot pubblicitario avente come protagonista il personaggio di fantasia Zorro. In tale contesto la Suprema Corte ha affrontato alcuni temi particolarmente cari al diritto d’autore, quali la tutela dei personaggi di fantasia indipendentemente dall’opera di cui essi fanno parte ed il riconoscimento, a che condizioni ed entro quali limiti, dell’opera parodistica nel nostro ordinamento. La questione su cui si pronunciata la Corte di Cassazione prende le mosse dalla diffusione, di una campagna pubblicitaria di una nota acqua minerale (“Brio Blu”) che vedeva come protagonista il celebre personaggio di Zorro, nato dalla fantasia dello scrittore Johnston McCulley nel 1919 e su cui la società statunitense Zorro Productions Inc. vanta i diritti d’autore, oltre ad altri diritti di proprietà intellettuale che la stessa non ha mancato di far valere.

Nello spot “incriminato”, Zorro veniva utilizzato, in chiave comica e satirica, per pubblicizzare un prodotto (l’acqua). A fronte quindi di tale utilizzo del personaggio di Zorro, evidentemente avvenuto in assenza di autorizzazione, la società americana ha convenuto in giudizio la società produttrice di acque minerali lamentando la violazione dei propri diritti d’autore sul personaggio di Zorro, oltre ad una lunga serie di violazioni legate appunto alla tutela delle sue privative industriali.

A valle di un primo grado di giudizio, ove il Tribunale di Roma aveva condannato la società convenuta a risarcire la Zorro production Inc. per la violazione inter alia del proprio diritto d’autore, e di un secondo grado, in cui, al contrario, la Corte di Appello, aveva negato invece tale risarcimento, sulla base della caduta – secondo i giudici - in pubblico dominio del personaggio di Zorro (sul quale quindi non vi sarebbero stati validi diritti d’autore), la Corte di Cassazione ha messo ordine e ha fissato alcuni punti molto importanti in materia di diritto d’autore, ed in particolare sull’utilizzo parodistico di un’opera (o di un personaggio) su cui – evidentemente - siano ancora validi ed esistenti i diritti d’autore.

Innanzitutto, quindi la Corte di Cassazione ha escluso il venir meno (o caduta in pubblico dominio) dei diritti d’autore sull’opera e sul personaggio di Zorro, ritenendo applicabile, anche alle opere straniere pubblicate in Italia, l’art. 25 della nostra legge sul diritto d’autore (L. 633/1941 “LDA”) che prevede la nota tutela autorale fino al settantesimo anno dopo la morte dell’autore.

In secondo luogo, e questo è il primo aspetto importante della decisione in commento, ha chiarito il contenuto e i limiti della parodia nel nostro ordinamento.

Premesso che il nostro ordinamento non prevede espressamente fra le cd. “eccezioni” alla tutela del diritto d’autore, la “parodia”, secondo la Corte di Cassazione questa trova, invece, pieno riconoscimento nel nostro sistema attraverso la previsione di cui all’art. 70 della legge sul diritto d’autore, “come manifestazione del pensiero”: secondo la Cassazione infatti, “la liceità della parodia dell'opera o del personaggio creati da altri trova quindi il proprio fondamento nell'utilizzazione libera di cui al cit. art. 70, comma 1, L. n. 633/1942” che consente il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico, “se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera”.

Secondo la Corte di Cassazione, innanzitutto non è affatto necessario, ai fini del suo riconoscimento – e quindi dell’esimente – che la parodia si presenti come un “elaborazione creativa” o originale dell’opera parodiata ai sensi dell’art. 4 LDA, posto che l’agganciamento all’opera principale è elemento congenito e fondamentale della parodia stessa. Peraltro, se così fosse, sottolinea la Suprema Corte, sarebbe necessario di volta in volta ottenere l’autorizzazione dell’autore dell’opera originaria che difficilmente acconsentirebbe al “travisamento comico di questa”.

Inoltre, e questo è il secondo punto della sentenza che pare avere particolare rilievo, il riferimento contenuto nell’art. 70 Lda “purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera” non va affatto interpretato, come ha erroneamente fatto la Corte di Appello di Roma, nel senso di “scopo commerciale o di lucro”.

Le libere utilizzazioni consentite dall’art. 70 della legge sul diritto d’autore – compresa la parodia – sembrano quindi non essere escluse in presenza di un fine di lucro o di uno sfruttamento commerciale che l’autore della parodia può perseguire, anche collateralmente, ma solo in presenza di un rapporto concorrenziale tra l’opera protetta e parodiata e la parodia stessa.

In definitiva, la liceità della parodia viene rivenuta dalla Corte di Cassazione, oltre che nella libera manifestazione del pensiero, nella strumentalità di essa rispetto al fine parodistico e satirico che persegue (non deve cioè, avere finalità e contenuti meramente denigratori e svilenti dell’opera principale o di un suo personaggio) e nell'assenza di un rapporto concorrenziale con l'opera protetta che farebbe invece discendere dalla parodia un illecito sfruttamento dell’opera medesima.

Questa importante interpretazione della parodia nel nostra ordinamento si inserisce perfettamente nel solco interpretativo della Corte di Giustizia che da tempo si è espressa nel senso di cercare bilanciamento ed un equilibrio fra interessi in parte contrapposti, quali sono quelli di coloro che sono titolari dei diritti di riproduzione e di comunicazione al pubblico dell'opera e la libertà di espressione dell'utente di un'opera protetta, il quale si avvalga dell'eccezione per parodia (Corte Giust. UE, C-201/13, cit., 34).