Concorrenza sleale – pubblicazione sul proprio sito internet di liste clienti altrui

Gaia Bellomo - Senior AssociateMaria Sole Torno - Stagista

Gaia Bellomo - Senior Associate

Maria Sole Torno - Stagista

I nomi di clienti prestigiosi rappresentano un vanto per l’impresa?

La rinomanza presso il pubblico e la capacità distintiva dei propri marchi rappresentano fattori di indubbia rilevanza per le imprese e sono asset concorrenziali che possono essere messi a rischio da comportamenti scorretti sul mercato. Per tutelare il corretto svolgersi delle dinamiche di mercato il codice civile, tramite gli articoli riservati alla regolamentazione della concorrenza, regolamenta il comportamento delle imprese a livello individuale e tutela le imprese, da comportamenti scorretti.

La Corte di Cassazione ha recentemente preso posizione sul tema della concorrenza sleale, esprimendosi in particolare sul divieto di appropriazione di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente, sancito dall’art. 2958, comma 1, n. 2 c.c..

Il caso preso in esame dalla Corte, ha visto contrapporsi l’agenzia pubblicitaria 055 Communication S.r.l. e la Senza Filtro S.n.c., alla quale veniva contestata la pubblicazione sul proprio sito internet aziendale dei nomi di numerosi clienti che erano, invece, clienti di 055 Communication.

Alla Corte di Cassazione veniva chiesto di pronunciarsi sulla questione se i nomi dei clienti di un’impresa fossero da considerarsi un pregio della stessa. A tale riguardo si era precedentemente espressa la Corte d’appello di Firenze che aveva respinto la tesi secondo cui i nomi dei clienti configurano un “pregio” aziendale, ritenendoli invece meri elementi storici del livello imprenditoriale raggiunto.

A seguito di tale decisione, 055 Communication s.r.l. aveva fatto ricorso al giudice di legittimità per violazione o falsa applicazione dell’art. 2598, comma 1, n.2, c.c., in quanto sosteneva che la condotta di un imprenditore, il quale indichi, contrariamente al vero, sul sito internet aziendale come propri i clienti che sono di un altro imprenditore, consistesse in un atto di concorrenza sleale contrario alla correttezza professionale. Inoltre, secondo la ricorrente, sarebbe stato violato anche l’art. 2598, comma 1, n. 3, c.c., poichè il comportamento della resistente avrebbe integrato anche la violazione dei principi della correttezza professionale, in quanto indice dell’approfittamento del lavoro altrui.

Nel giudizio di legittimità, il Collegio ha reputato opportuna la trattazione congiunta dei motivi, che pur invocando differenti fattispecie, miravano entrambi all’affermazione del principio di diritto secondo cui la condotta posta in essere dalla Senza Filtro s.n.c. integrasse la fattispecie di cui all’art. 2598 c.c..

La Corte aveva già affrontato la questione evidenziando nell’ordinanza n. 25607 del 2018 che la condotta tipica di concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui ricorre quanto “un imprenditore, in forme pubblicitarie od equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od all’impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, qualità, indicazioni, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori.”

Nell’ordinanza in esame, il Collegio ha precisato che l’imprenditore concorrente si appropria di pregi di un’altra impresa, quando opera, in una comunicazione destinata a terzi, un’auto-attribuzione di qualità, peculiarità o caratteristiche riconosciute ad altrui impresa. L’avere un imprenditore vantato un carnet di clienti con i quali non aveva in passato intrattenuto rapporti professionali, che erano invece in essere con un diverso imprenditore, lasciando però intendere di avere curato per essi le campagne pubblicitarie, integra, secondo la Cassazione, la fattispecie della norma predetta sotto il profilo dell’appropriazione di qualità altrui.

Alla stregua di tali considerazioni, la Corte ha cassato la sentenza impugnata, alla luce del principio secondo cui “la condotta di “appropriazione di pregi”, contemplata dall’art. 2598, comma 1, n. 2 c.c., è integrata dal vanto operato da un imprenditore circa le caratteristiche della propria impresa, mutuate da quelle di un altro imprenditore, tutte le volte in cui detto vanto abbia l’attitudine di far indebitamente acquisire al primo meriti non posseduti, realizzando una concorrenza sleale per il c.d. agganciamento, quale atto illecito di mero pericolo: tale situazione si verifica allorchè un’agenzia pubblicitaria, con la quale pur abbia iniziato a collaborare un soggetto che aveva realizzato campagne pubblicitarie per un’altra impresa, vanti sul proprio sito internet il carnet di clienti di quest’ultima, lasciando intendere di aver curato essa stessa le precedenti campagne pubblicitarie”.

Cassazione Civile, ordinanza 19 maggio 2021