Marchio Patronimico - La Cassazione stabilisce i criteri di liceità dell’uso

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Con la sentenza del 6 giugno scorso, la Cassazione ha posto fine alla controversia approdata in tribunale nel 2011 e relativa all’utilizzo del segno distintivo “Salini”, che ha visto opposti due rami della famiglia Salini, entrambi attivi nel settore delle costruzioni, i quali per due generazioni avevano condiviso la medesima storia imprenditoriale.

La questione posta all’attenzione della Suprema Corte riguardava la legittimità dell’uso del patronimico comune nella medesima attività economica (la realizzazione di opere edili), all’indomani della fondazione da parte di uno dei due cugini di una propria impresa autonoma di costruzioni, la Salini Locatelli S.p.A., in concorrenza diretta della Salini Costruzioni S.p.A., sino ad allora la società di famiglia.

Con il proprio ricorso per cassazione, parte ricorrente sosteneva la tesi secondo la quale la norma che disciplina le limitazioni dell’uso del marchio (art. 21 cod. prop. ind.) - che non consente al titolare della privativa di vietare ai terzi l’uso del proprio nome e indirizzo nella loro attività economica – dovesse trovare applicazione anche per tutti i segni distintivi, ovvero per tutti quegli elementi che identificano una certa attività di impresa presso il pubblico, denominazione sociale compresa.

La Cassazione, con la sentenza in commento ha stabilito che se è lecito in linea di principio inserire nella denominazione sociale successiva il patronimico del fondatore, occorre in ogni caso verificare in concreto che l’adozione del patronimico nella denominazione sociale successiva non sia idonea a generare confusione.

Con riferimento poi alle società di capitali, per le quali non trova applicazione l’obbligo previsto per la ditta e per le società di persone di indicare nella ragione sociale il cognome o la sigla dell’imprenditore (art. 2563 c.c.), la Cassazione ha posto in luce che occorre adottare un maggior rigore nel giudizio circa la conformità dell’uso del patronimico ai principi della correttezza professionale, tenendo conto tanto della confondibilità tra i due segni adottati, quanto del pericolo di associazione tra gli stessi, giudizio che non può prescindere da un riscontro in concreto del rapporto concorrenziale tra le due imprese in questione.

Nel caso di specie, le due società condividevano il medesimo “cuore” individualizzante, costituito dal segno “Salini” ed entrambe erano attive nello stesso settore delle costruzioni; in questo contesto, l’inserimento dell’elemento “Locatelli” non era sufficiente a mettere al riparo la società fondata successivamente da un pericolo di confusione o di associazione con la società preesistente.

Facendo riferimento alla propria consolidata giurisprudenza sul punto (Cass. civ., sent. 14 agosto 2019, n. 21403), la Suprema Corte ha ribadito che, nel conflitto tra due società utilizzatrici dello stesso segno identificativo, deve prevalere quella che per prima risulti iscritta nel registro delle imprese con quel segno e

ha respinto il ricorso della Salini Locatelli S.p.A., confermando la sussistenza di un concreto rischio di confusione e di associazione tra le due imprese concorrenti.

I giudici di legittimità hanno dato rilievo alla valenza pro-concorrenziale delle norme che limitano il diritto esclusivo sui segni distintivi (marchio e denominazione sociale, rispettivamente) - e potenzialmente perpetuo – nei confronti degli usi del proprio nome e cognome nell’attività imprenditoriale, ribadendo che il diritto di vietare ai terzi l’utilizzo di un segno simile o confondibile subisce una forte limitazione nel caso in cui il terzo utilizzi nella propria attività economica un segno simile o confondibile il quale, però, sia costituito dal proprio nome e cognome.

Tuttavia, la giurisprudenza è chiara nel ribadire che questa limitazione non deve tradursi in un indebito approfittamento della notorietà dell’altrui segno distintivo: sono infatti consentiti solo quegli usi del segno altrui che siano conformi ai principi della correttezza professionale. Il richiamo all’uso conforme a questi principi, significa che, se taluno usi il segno distintivo altrui - anche se facente parte del proprio nome e cognome - in modo da valorizzare indebitamente il proprio prodotto ed in modo che, configuri un’appropriazione dei pregi altrui, tale uso dovrà considerarsi illecito in quanto non conforme alla correttezza professionale.

Il nome anagrafico del concorrente potrà quindi lecitamente figurare sui prodotti ed essere impiegato nei segni distintivi dell’imprenditore, ma a condizione di escludere agganciamenti parassitari: l’uso del patronimico che riproduce un segno distintivo anteriore è consentito soltanto ai fini di individuazione dell’imprenditore e quindi in funzione descrittiva e non dintiva. Tale uso descrittivo deve, invece, escludersi qualora sussista un rischio di confusione sul mercato, in ragione della funzione concretamente svolta dal nome nell’attività commerciale svolta, onde evitare che il pubblico sia indotto in errore sull’identificazione del produttore e della provenienza dei prodotti.

Cassazione civile, sez. I, sentenza del 6 luglio 2020, n. 13921