Nella tristemente nota situazione di emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus, lo Stato ha adottato una serie di misure urgenti restrittive al fine di contenere la diffusione epidemiologica da Covid-2019.
In particolare il D. L. 23 febbraio 2020, n. 6, ha disposto che, per “evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione … le autorità competenti sono tenute ad adottare ogni misura di contenimento” e “tra le misure possono essere adottate” tra le altre, la “chiusura di tutte le attività commerciali”, la “chiusura o limitazione dell’attività degli uffici pubblici”, “sospensione delle attività lavorative per le imprese”: in una parola, la sospensione di ogni potenziale attività lavorativa (salvo si tratti di servizi pubblici essenziali o di prima necessità) sia nelle zone rosse in cui sono stati identificati dei “focolai” sia nelle zone “gialle”, ovvero, le zone a rischio di diffusione (Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria, Trentino-Alto Adige, Friuli ed Emilia Romagna).
Tale paralisi ha fatto sorgere la necessità di ricorrere anche a forme di svolgimento di prestazioni lavorative “delocalizzate” per ridurre l’impatto dalla sospensione delle attività tanto che, con successivo DPCM del 25/2/2020, il Governo ha sancito che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, è applicabile in via provvisoria, fino al 15 marzo 2020, per i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e per i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da tali territori, a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”.
Al di fuori delle prescrizioni governative, le ulteriori misure a cui ricorrere per il contenimento delle conseguenze negative derivanti dalla sospensione delle attività lavorative potrebbero consistere nel ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni o ai Fondi di Integrazione Salariale sempre che ne ricorrano i presupposti.
Altra misura a cui ricorrere potrebbe consistere nel collocare i dipendenti in ferie o nel fare smaltire ore di permessi sempre che, ovviamente, tali misure venga concordata e non imposta ai dipendenti.
Senza pretesa di esaustività, i suggerimenti sopra evidenziati costituiscono meri spunti di riflessione in attesa dell’auspicato rientro della situazione di emergenza sanitaria.