Capita sempre più spesso che le società in stato di crisi ricorrano - anche nel caso in cui siano già state proposte nei loro confronti delle istanze di fallimento - al deposito una domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo con riserva (anche noto come concordato c.d. in bianco).
L’art. 161 R.D. 267/1942 (“Legge Fallimentare”) riconosce infatti all’imprenditore in stato di crisi la possibilità di depositare un ricorso contenente la domanda di concordato preventivo - accompagnata dai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e dall’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei relativi crediti - riservandosi invece di presentare la proposta, il piano e la specifica documentazione prevista dalla Legge fallimentare entro uno specifico momento fissato dal giudice. Entro detto termine, che è per legge compreso tra 60 e 120 giorni ed è prorogabile per un periodo non superiore a 60 giorni in presenza di giustificati motivi, l’impresa ha facoltà di depositare alternativamente una proposta di ristrutturazione dei debiti oppure di concordato preventivo. In caso invece di inutile decorso del termine, il debitore perde i vantaggi connessi e può essere dichiarato fallito.
La motivazione ed i benefici connessi a tale procedura sono ormai noti.
La stessa consente infatti al debitore di ottenere immediatamente il beneficio della tutela del proprio patrimonio, in virtù dell’applicabilità – decorrente dalla data di pubblicazione presso il registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo presentato in tribunale e sino alla data di eventuale omologazione – del divieto, posto in capo ai creditori, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore (art. 168 Legge Fallimentare).
Come è noto, però, non sempre le finalità che animano il deposito della domanda di concordato preventivo in bianco sono realmente genuine e finalizzate all’ordinata soddisfazione, anche se parziale, dei creditori, ma piuttosto lo scopo è quello di posticipare in modo strumentale il momento del fallimento. Questo modus operandi, ove venga accertato, può essere però fonte di responsabilità a carico dell’organo gestorio della società.
Sul tema è infatti intervenuta una recente sentenza del Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di imprese (pubblicata in data 1 giugno 2020), che ha esaminato i profili di responsabilità insiti nella condotta dell’organo gestorio, chiarendo che il comportamento dell’amministratore che presenta una domanda di concordato in presenza del presupposto dello stato di insolvenza della società non può essere considerato di per sé ed automaticamente generatore di responsabilità per il risarcimento del danno, anche nel caso in cui la proposta di concordato venga, in ipotesi, dichiarata inammissibile o l’ammissione venga successivamente revocata (artt. 162 e 173 l.f.). Una responsabilità degli amministratori in questo senso può invece configurarsi solo quando la domanda sia da considerarsi abusiva e cioè unicamente finalizzata, con ragionevole probabilità, a posticipare fraudolentemente il fallimento della società in danno dei creditori.
Il danno connesso a questa fattispecie può essere ad esempio ricavato dai costi “inutilmente” sopportati dalla società a seguito della presentazione della domanda di concordato preventivo, depositata in uno specifico momento in cui, non sussistendo in concreto i presupposti per accedere al concordato preventivo, gli amministratori avrebbero viceversa dovuto chiedere il fallimento in proprio della società gestita.
Una ulteriore pronuncia del Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di imprese (pubblicata in data 30 ottobre 2019), di poco precedente a quella summenzionata, ha inoltre chiarito che l’adozione di tattiche dilatorie – fra cui il deposito di una domanda di concordato in bianco senza redazione del piano – può comportare una specifica responsabilità del liquidatore per l’aggravamento del dissesto. In tale ipotesi il danno derivante potrebbe ricavarsi proprio dall’incremento, altrimenti evitabile, della situazione debitoria dell’impresa.
Si evidenzia ad ogni modo che la nomina anticipata del Commissario Giudiziale - di recente introdotta nella Legge Fallimentare - ha contribuito a ridurre il numero di ricorsi depositati da parte di quelle imprese che, abusando dell’istituto ed avvalendosi del vantaggio concesso di sospensione delle eventuali azioni esecutive, avevano come unica finalità quella di cercare di posticipare la dichiarazione di fallimento e quindi impedire ai creditori di soddisfare le loro pretese sui beni residui.