La Cassazione con ordinanza 8 febbraio 2016, n. 2468, ha stabilito che gli studi professionali, non sono obbligati a corrispondere ai titolari dei diritti, il compenso ex artt. 73 e 73-bis della legge sul diritto d’autore. La Corte ha affrontato il caso in cui la Scf – Società Consortile Fonografi (di seguito, solo SCF), che svolge attività di collecting, in Italia e all’estero, quale mandataria per la gestione, l’incasso e la ripartizione dei diritti dei produttori fonografi consorziati, aveva citato in giudizio uno Studio medico odontoiatrico sostenendo che la diffusione, in sottofondo, di fonogrammi oggetto di privativa, costituisce comunicazione al pubblico ai sensi della legge italiana sul diritto d’autore, nonché del diritto internazionale uniforme a quello comunitario, ed era soggetta alla corresponsione di un equo compenso, da liquidarsi in separato giudizio. In pratica secondo la SCF, gli Studi professionali dovevano pagare il diritto d’autore.
La Cassazione ha invece stabilito l’opposto. Si tratta di un ordinanza particolarmente importante per il concetto di diritto di comunicazione al pubblico che fa scattare l’obbligo di pagare il diritto d’autore, considerando anche il fatto che la SCF era stata vittoriosa sia in primo che in secondo grado di fronte al Tribunale di Milano. La Corte ha dunque stabilito che la nozione di pubblico cui fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29 sul diritto d’autore, riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali e comprende, peraltro, un numero di persone piuttosto considerevole (sentenza della Corte di Giustizia ITV Broadcasting).
Tale concetto non può appunto applicarsi ad uno Studio professionale come quello odontoiatrico. Il Supremo Collegio ha anche precisato il ruolo delle sentenze della Corte di Giustizia nel nostro ordinamento sostenendo che tali sentenze hanno il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità.
Da questo punto di vista la Corte ha anche rigettato, in modo estremamente netto, le istanze di violazioni costituzionali articolate dalla SCF e la possibilità di rivolgersi alla Corte di Giustizia, ritenendole manifestamente infondate, condannando anche la società consortile al pagamento delle spese legali.
Il Ritorno del Co.coco nel Job's Act
Con il Jobs Act, nell’ambito dell’ampia riforma del mercato del lavoro, il legislatore ha espressamente abrogato la disciplina del contratto di collaborazione a progetto; di contro, può farsi ricorso, come nell’epoca che ha preceduto la legge Biagi, alle collaborazioni coordinate e continuative.
Ampia autonomia formale e sostanziale riservata alle parti nel determinare l’oggetto, i termini e le condizioni contrattuali: l’assenza di vincoli formali consente di stipulare il contratto anche senza la forma scritta (sebbene raro e poco preferibile) o di stipulare contratti di collaborazione a tempo determinato così come a tempo indeterminato; la libertà negoziale permette di avvalersi delle collaborazioni anche per attività relative al core business dell’azienda.
L’insidia si concentra nelle modalità di esecuzione della prestazione: è il collaboratore che decide dove, come e quando svolgere il proprio lavoro; solo garantendo tale libertà organizzativa il rapporto può dirsi genuinamente di collaborazione.
In mancanza di questa autonomia, salvo i casi tassativamente previsti, si applicherà la disciplina del lavoro subordinato.
E’ possibile rivolgersi ad apposite commissioni appositamente istituite affinché venga certificata ex ante, sulla base del testo contrattuale, la natura del rapporto; ciò non esclude, in ogni caso, che in altra sede possa accertarsi che, di fatto, il rapporto abbia assunto vesti diverse da quanto negoziato e certificato.
E’ inoltre possibile, dal 01 gennaio 2016, ricorrere ad una particolare forma di “sanatoria”: le aziende -attraverso la “stabilizzazione” dei lavoratorio dei soggetti titolari di partita i.v.a., già parti di contratti di collaborazione o di rapporti di lavoro autonomo- possono godere della “estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessi all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro”.
Per usufruirne, occorre preliminarmente sottoscrivere un verbale di conciliazione in una delle sedi “protette” e, nei dodici mesi successivi all’assunzione, i datori di lavoro non potranno recedere dal rapporto, se non per giusta causa o giustificato motivo soggettivo.
Roberta Rispoli - roberta.rispoli@tsclex.com